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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Admin (del 08/02/2011 @ 22:05:13, in articoli, linkato 737 volte)
Nella seconda parte dell'Ottocento la pesca del corallo, eseguita lungo le coste dell'Algeria, in cui gli abitanti di Torre del Greco recitano il ruolo di protagonisti, attraversa un periodo di profonda crisi la quale, per la verità, viene da lontano. Non a caso, sfogliando i registri, relativi alla quantificazione delle imbarcazioni torresi impegnate in siffatta attività dal 1837, notiamo come il loro numero iniziale di 230 si è abbassato nel corso del tempo con una leggera ripresa nel 1852, allorché si attesta sulle 221 unità. Nel 1853, addirittura, il trend negativo procede rovinosamente a picco verso le 116 imbarcazioni su un totale di 125, di cui due appartengono a Livorno, due a Trapani e una a Portici. L'occasione è utile per dare uno sguardo d'insieme al fenomeno, al fine di comprenderne le motivazioni profonde dell'attuale stallo. A prima vista colpisce la varietà dei nomi dati alle paranzelle, attinti quasi sempre dal calendario religioso, nelle cui pieghe si intuisce facilmente la ricerca della protezione celeste. Reputiamo di fare cosa gradita riproponendo, a mero titolo esemplificativo, la denominazione di alcune con la specifica dei proprietari: Santa Maria di Portosalvo di Gennaro Magliulo, Santa Maria Maddalena di Angelo Antonio Magliulo, Santa Vittoria di Michele Serpe, San Leonardo di Gennaro Palomba, San Benedetto di Mattia Mattera, Madonna del Carmine di Giovanni Battista Sasso, Sant'Anna di Francesco Ruggiero, Maria dell’Arco di Santo della Monica, San Luigi di Nunzio Sportiello, Santo Spirito di Gennaro Iuliano, Maria di Montevergine di Gennaro Borriello e San Francesco di Paola di Sebastiano d’Urso. Spezza l'uniformità "La Bionda" di Francesco Accardo. Rientra, invece, nel contesto generale quella del porticese Raffaele di Donna, denominata Madonna del Principio. Addirittura tra quelle trapanesi troviamo due con lo stesso nome di Gesù Maria Giuseppe: la prima appartiene a Giuseppe Portuese, la seconda a Giuseppe di Cocco. Utilizzando il criterio del maggiore equipaggio, occupa il primo posto San Giuseppe di Pietro Sogliuzzo con diciannove marinai,seguita da Maria di Montevergine di Gennaro Borriello e Immacolata di Raffaele Aurilio, entrambe con quindici. Seriamente preoccupato della situazione critica del settore, le cui conseguenze negative si ripercuotono sull'intera economia torrese, il sindaco pro tempore rispolvera un antico antidoto, mirato a coinvolgere negli utili societari i marinai, come avviene tuttora nella marina mercantile. La proposta, sottoposta alla Camera Consultiva del Commercio il 19 febbraio 1853, viene bocciata, in quanto foriera di danni maggiori. La risoluzione si gioca su una duplice alternativa operativa: la prima mira ad elaborare un regolamento che costringa i marinai disertori a prestare sevizio sulle navi da guerra, finché non ripaghino di tasca propria le eventuali perdite economiche prodotte agli armatori; la seconda contempla la istituzione a Torre del Greco di un monte di categoria, sollecito a venire incontro a tutte le esigenze degli associati, compresa la pensione a favore degli anziani e degli invalidi. Nemmeno queste agevolazioni riescono a ridare vitalità al settore che fa naufragare anche l'offerta di un coevo piano algerino di rilancio generale.
 
Di Admin (del 30/01/2011 @ 19:58:26, in Articoli, linkato 558 volte)
L'incontro tra gli Intendenti delle province del regno, tenutosi a Napoli nel mese di maggio del 1846, rappresenta una vera e propria analisi programmatica, nel cui ambito rientrano le opere già eseguite e quelle in cantiere. Apre i lavori l'Intendente di Napoli, Spinelli, con una radiografia circostanziata sulla città di Napoli. L'abbrivo dialogico è quanto mai felice con l'annuncio della conclusione quasi definitiva della ricostruzione e dell'ampliamento della strada di Santa Lucia, il cui maggior dispendio di risorse economiche rispetto a quelle preventivate trova la sua ragion d'essere nell'attuale piacevolezza dell'asse viario. Trovandosi in una condizione carente, dovuta, soprattutto, alle violente bordate delle onde prospicienti, Mergellina reclama un analogo trattamento di messa in sicurezza e di abbellimento. Il tratto che si estende dalla Torretta fino alle rampe di Sant'Antonio si avvia alla felice conclusione. Godono i benefici della ricostruzione le vie Sant'Anna dei Lombardi, Trinità Maggiore e Salita di Montoliveto. Lascia a desiderare la costruzione del mercato di Tarsia, tanto da deludere le attese della vigilia anche in termini di massiccio investimento di denaro. Pur essendo stato eretto in un luogo non paludoso, non lontanto da quello di Montoliveto, viene occupato solo in parte. Non si discutono la bellezza e l'utilità dell'edificio che potrà essere adibito in seguito anche per altri usi. Del resto il mercato di Forcella, gli altri due, rispettivamente, ubicati al vicolo Beifiori e nei pressi dell'ospedale del Sacramento, rispondono in pieno alle loro funzioni mercantili. Si spera che possa seguirne la scia quello che dovrà sorgere, secondo il progetto, nel largo Duchesca a Porta Capuana. Via Foria, che si distingue per la sua ampiezza e per la densità della popolazione, costituisce lo snodo entro cui confluiscono le altre arterie circonvicine. Colà si ammira la chiesa di San Carlo all'Arena, finalmente ricondotta all'antico splendore e devozione, destinati a crescere di molto, non appena sarà aperto il tratto viario di collegamento con San Giovanni a Carbonara. La città riceve ulteriore bellezza dalle numerose strade campestri dell'Arenaccia e dei Fossi, che fanno capo a vari quartieri. Va ascritto nel novero dei monumenti il cimitero, la cui grande chiesa, l'ampio parallelogramma destinato a centodue congregazioni, il pio convento, le decorose sepolture, le policromatiche aiuole e le incantevoli vedute concorrono a rinsaldare in concreto il vincolo inestricabile tra i vivi e i morti. Nel merito la provincia napoletana sta compiendo notevoli passi: sono già stati benedetti i cimiteri di Forio d'Ischia, Massa, Trocchia, Pollena e San Sebastiano; sono sulla dirittura di arrivo quelli di Gragnano, Boscotrecase, Pianura, Sant'Antimo e San Giovanni a Teduccio.
 
Di Admin (del 25/01/2011 @ 12:41:08, in Articoli, linkato 596 volte)
L'acqua affluisce a Napoli attraverso due canali, uno più antico chiamato Olla, Volla o Bolla e il secondo, finito di costruire nel 1634 circa, denominato Carmignano. Le sorgenti pubbliche, invece, sono cinque: Santa Maria la Nuova o Acquaquilia, San Pietro Martire, Leone, Marinella e Santa Barbara. Nello spazio compreso tra Pomigliano d'Arco e Somma le acque zampillano in alcune grotte che danno origine a quattro condotti o bracci: Preziosa, Tavernanova, Benincasa e Calzettaio che portano l'acqua nella casa costruita poco distante dal Salice. A questo punto una parte minima si riversa nell'alveo Criminale, anima vari mulini privati e forma l'attuale Sebeto. La maggior parte, invece, accresciuta dall'afflusso idrico del quarto braccio, detto Nuovo o Sottocorrente e sito a venti passi dalla suddetta Casa, scorre nelle cavità sotterranee in maniera quasi parallela alla strada di Puglia. Il distacco avviene poco dopo, allorché, seguendo un proprio tragitto indipendente, raggiunge il luogo chiamato Pepe, ove raccoglie le acque defluenti lungo il canale. Quindi, va ad alimentare nel palazzo della Regina Giovanna una ferriera, i mulini di Apicella e di San Teodoro, e due fontane di Poggioreale. Prima di Porta Capuana perde un ramo idrico detto San Giovanni a Carbonara che prosegue la sua corsa attraverso l'Orticello in direzione della Porta di San Gennaro. In itinere altre diramazioni se ne distaccano per tracciare un loro tratto autonomo su entrambi i lati. Poco prima di toccare la meta finale, un altro ramo idrico accompagna il solco della strada Maddalena fino all'angolo dell'Annunziata. Alla fine, la corsa confluisce in città, precisamente, nella località denominata la Formella prima di Castel Capuano .......
 
Di Admin (del 23/01/2011 @ 08:24:33, in articoli, linkato 608 volte)
La terza tappa del viaggio, che si snoda, secondo il programma prestabilito dalle autorità ministeriali del 1858, nelle sezioni comunali della capitale, onde preparare il materiale indispensabile alla commissione di statistica, offre ai nostri occhi la sezione Stella. Essa risulta, fin dall'iniziale colpo d'occhio, rispetto alle precedenti già visitate, come la meno dotata di attrezzature imprenditoriali dal punto di vista quantitato, anche se nessuno mette in dubbio il loro tasso qualitativo. Infatti, nella strada Nuova Capodimonte si concentrano quattro fabbriche: la prima mira a produrre macchine per tornire il ferro; la seconda macchine a vapore, tubi, caldaie e torchi per stamperie; la terza macchine a vapore per la produzione dell'allume e dell'acido solforico; la quarta risulta una vera e propria filanda. Tutti e quattro i suddetti opifici devono la loro normale attività al capitale degli imprenditori stranieri. Sulla stessa falsariga si proietta la sezione San Ferdinando, anche se la dislocazione imprenditoriale si rivela leggermente più varia. Apre la serie la fabbrica di finimenti per cavalli da carrozza, internata nelle grotte del marchese di Sessa dentro cappella vecchia a Chiaia. Un'altra di stampo meccanico è relegata in fondo nel vico Colascione al Monte di Dio. Nella strada nuova a Pizzofalcone si stende una fabbrica deputata alla costruzione di apparecchi per la illuminazione a gas. Chiudono l'elenco alcune fabbriche di mobili e di pianoforti, nonché alcune stamperie. Tutti questi stabilimenti, a detta dell'esperto che ci guida, nonché estensore del verbale, secondo una scala valoriale ufficiale, vanno classificati nel novero di quelli mediani. Il tono viene ampliato notevolmente dalla presenza massiccia della stamperia reale, della fonderia dei cannoni e dell'arsenale dell'artiglieria, che adornano Castelnuovo. Va da sé che questi ultimi rientrano nella sfera militare statale.
 
Di Admin (del 22/01/2011 @ 15:24:57, in Articoli, linkato 13808 volte)
Proseguendo il viaggio nella capitale del regno delle due Sicilie, al fine di rinvenire l'ossatura produttiva della città,secondo le direttive ministeriali,ci spostiamo, sulla relativa scorta documentaria del 1858, nella sezione Vicaria, soffermandoci nelle singole strade e riproponendo di seguito in maniera fedele le risultanze dell'analisi effettuata colà sulla suddetta materia, ritrascritta per generi lavorati. Così troviamo due fonderie di oro e argento in Vico di Pontenero, un'altra di ferro in via Vasto a Capuana e quella più importante di canne da fucile, di proprietà pubblica e ubicata nella strada Poggioreale. Ben tredici fabbriche adornano vico tutti i Santi, vico Speranzella e vico Reclusorio. Due fabbriche di cerogine o candele si stendono nella strada Poggioreale e, precisamente, all'Arenaccia. Una fabbrica di sapone si staglia in vico Sant'Anna, una fabbrica di aceti si protende in largo Cavalcatojo, specificamente ai Fossi. Cinque fabbriche di fiammiferi caratterizzano via Vasto, Fossi Vasto, ponte di Casanova e largo Cavalcatojo. Due fabbriche di mistura di lastrici operano in strada nuova dei Fossi e, nello specifico, al vico Trufolo. Una fabbrica di tele "incerate" procede a pieno ritmo in vico di tutti i Santi. Tre congerie di pelli echeggiano nella strada Arenaccia alla Polveriera e al Largo Cavalcatojo. Una vetreria rimbomba nel vico Trufolo. Quattro lanifici connotano il vico Cetrangolo e il vico lungo Sant'Antonio Abate. Tre tintorie si trovano nella strada Trivio, nel vico San Giovanniello e in quello di Marcoviglio. Nel perimetro sezionale si concentra anche un alto numero di botteghe. Infatti, trentuno officine di fabbri si stendono lungo il largo Carriera grande, piazza Tribunali, strada Carbonari, vico Sotto a Carbonara, strada San Ferdinando a Pontenuovo, borgo Sant'Antonio Abate, largo Cavalcatojo, largo Vasto, strada numerata e piazza Nuova Foria. Una bottega di calderai o ramai è operativa nel vico Ziti. Sei botteghe di miniscalchi o maniscalchi, site nella strada Foria, nella piazza Nuova Foria, nella piazza Tribunali, al largo Cavalcatojo, al largo Sant'Anna, al ponte di Casanova, portano in loco una notevole vivacità di uomini e di animali. Scandiscono suoni alternati i colpi degli operai impegnati nelle sette botteghe addette alla riparazione delle carrozze e gravitanti nel largo Carriera grande, in piazza Tribunali, nelle strade Carbonara e Santa Sofia.Il vico Vasto a Capuana e la stessa strada Capuana effondono in un vasto raggio l'acre odore proveniente dalle tre botteghe di baccalà e di stoccafisso qui ubicate. Questa sezione municipale accoglie infine undici stalle per capri, allocate nelle seguenti arterie viarie: strada Foria, vico Lungo Sant'Antonio Abate, vico Trufolo, vico San Nicola dei Caserti, vico Verdi ai Caserti, cortile Sant'Antonio Abate, vico Zingari e vico San Biagio dei Caserti. Costituisce un capitolo a se stante lo stabilimento industriale, specializzato nella lavorazione della pelle di castoro e di altri tessuti, destinati, prevalentemente, agli uomini della truppa reale.
 
Di Admin (del 21/01/2011 @ 12:17:43, in articoli, linkato 565 volte)
Nell'ambito dell'attuale dibattito culturale, divenuto particolarmente acuto quest'anno in occasione delle celebrazioni del centocinquantesimo anniversario dell'unità d'Italia, non è fuor di luogo auspicare l'avvento di un clima più disteso e sereno, onde non rischiare di perdere definitivamente la nostra identità nazionale, già fortemente compromessa dalle frequenti manifestazioni avvilenti, scritte a diversi livelli con l'inchiostro del degrado assoluto. Se perdurasse siffatta temperie, ne perderemmo tutti indistintamente. E' l'ora, quindi, di attivare un confronto a vasto spettro che, gettando alle ortiche le vuote e sterili formule pronunciate da comode posizioni precostituite, agevoli un confronto su dati concreti e legati alla reale esperienza dei nostri padri. All'uopo può segnare un piccolo sentiero il tentativo di recuperare e riproporre la vera identità della nostra realtà locale, cittadina e provinciale, sulla scorta di diverse testimonianze sociali. Siffatto progetto operativo ha il merito, se non altro, di riappropriarci del nostro effettivo passato, toponomastico ed umano, colto nel suo fluire. Animati dal desiderio di conoscere le varie attività produttive lì allocate, ci addentriamo nella sezione napoletana Mercato, nell'anno 1858. Ne percorriamo l'intero perimetro, in tutta la sua vastità, annotandone le diverse strade, elencate di seguito: Fiumicello,ove operano un lanificio e una fabbrica di corde armoniche; Taverna delle Carcioffe, sulla quale c'è una fabbrica di puntine di Parigi o piccoli chiavistelli e di zappe; Largo Sant'Erasmo, contrassegnato dalla presenza di una fabbrica di pelli per suole; Congeria, lungo il cui percorso si stendono una fabbrica di cuoio ed un'altra di coperte di cotone; Largo Granile, donde si effonde per l'aria l'eco proveniente dalle macchine di una seteria, di una fonderia di ferro, di un'altra di piombo e di una fabbrica di pelli; Discesa del ponte, ove si segnala una congeria di pelli; Arenaccia,su cui si protende una fonderia di ferro; Vico sopramuro del Carmine, impreziosito dalla raffineria di oro e di argento; Vico Vitriera vecchia, vivacizzata dalla fonderia per la scopiglia o ceneraccio; Madonna delle Grazie di Loreto, ove spicca lo stabilimento per la pressione della rublia o robbia; Vico Maria delle Grazie Sovramuro, allietata dalla fonderia per la scopiglia; Piazza Fossi Nolana, sulla cui distesa si protendono due fabbriche per la lavorazione del gesso; San Cosimo che accoglie una fabbrica di gesso; Fossi, ove procedono a pieni motori due fabbriche di sapone; Carrera,Ferze al Lavinajo, Vico Celso a Loreto,Vico Orticello a Loreto, accomunate dalla presenza della rispettiva fabbrica di sapone; Calata ponte della Maddalena, ornata dai ritmi sistematici del lanifico; Largo di Sant'Erasmo, il cui perimetro abbraccia una fabbrica di sapone; Marinella, il cui diffuso stridio proviene da due fabbriche di stoviglie e da una di mattoni; Annunziata,ravvivata dall'andirivieni delle persone nelle due fabbriche di sedie che hanno l'esclusiva per tutta la provincia; San Pietro ad Aram, sede ufficiale di una fabbrica di coperte di cotone e di un lanifico, gestito dai padri Riformati. Tra gli imprenditori operanti in questa sezione si distinguono gli stranieri, il che denota l'indole del napoletano pronto all'accoglienza e alla tolleranza.
 
Di Admin (del 11/08/2010 @ 16:33:26, in articoli, linkato 679 volte)
1705. La fedelissima città della Cava supplicando espone a V. E. come da più di centinaia di anni si ritrova introdotta in essa città l’arte della seta in fabbricare ogni sorta di drappi e tingere ogni sorte di colori ed in particolare il nero, che è l’unico sostentamento dei suoi poveri cittadini, li quali sempre sono stati nel possesso di lavorare detti drappi e fare dette tende, conforme al presente si ritrovano. E come li odierni Consoli dell’arte della seta di questa città per alcuni loro caprici e fini particolari, sapendo che questi al numero di dieci o dodici devono portare le loro mercanzie dei drappi ascendentino a ducati ottantamila e più nelle fiere di Barletta, che si fa alli 11 del corrente mese di novembre, e in quella di Bari, che si fa alli sei dell’entrante mese di dicembre, minacciano di voler sequestrare detti drappi e mercanzie, supponendo stessero soggetti alla loro giurisdizione contro ogni dovere e ragione, cum reverentia. E perché l’arte della seta in detta città di Cava, da che si è introdotta, è stata indipendente da quella di questa Città, e loro consoli, conforme in altre città del Regno, e non potendo detti mercanti portare le loro mercanzie dei drappi ed altro, conforme al solito, in dette fiere, acciò del prezzo di esse potessero soddisfare li dovuti pagamenti maturati in dette fiere ai loro creditori, che sono mercanti in detta città della Cava, ed in questa di Napoli, porterebbero gran pericolo di fallire non meno essi che li loro mercanti creditori, e sarebbe la totale rovina di detta città della Cava e questa di Napoli per la comunicativa del negozio. Per ciò supplica V. E. di ordinare che si osservi il solito e che li detti mercanti per li con saputi drappi che devono portare in dette fiere non siano molestati da detti Consoli o altri, a fine di evitarsi le rovine di dette città e di tanti loro mercanti per detti pagamenti, mentre giovedì venturo cinque del corrente devono partire per dette fiere e l’osservanza di ciò commettersi alle Regie udienze di Montefuscoli e Trani in solidum che così osservino e facciano osservare ut Deus.
 
Di Admin (del 09/08/2010 @ 17:19:50, in articoli, linkato 6338 volte)
All'indomani della visita pastorale, effettuata, il 1739, nel feudo di Ottajano, il vescovo di Nola, mons. Troiano Caracciolo del Sole, non riesce a dimenticare l'eco assordante delle bestemmie e delle "canzoni blasfeme", nonché i segni marcati dell'ignoranza estrema di donne e bambini, indici speculari del degrado morale e sociale, vigente nel territorio di Terzigno.Onde risollevare l'ambiente, almeno, in termini di religiosità, egli affida, l'anno successivo, a cinque padri missionari della Congregazione della Casa della Solitudine di San Pietro a Cesarano l'incarico di svolgere colà una missione. I frutti spirituali della suddetta catechesi risultano immediati e salutari al punto che la popolazione terzignese manifesta l'esigenza insopprimibile di edificare in loco una chiesa, data la difficoltà logistica ed operativa a raggiungere quella più vicina di San Giuseppe, distante tre chilometri e, per giunta, oberata dal gravoso onere di attendere alla cura spirituale di ben simila anime, disperse nell'immensa "Campagna. Su siffatta legittima intenzione, però, si abbatte subito il veto incrociato del potere ecclesiastico e politico ottajanese, il quale, intravedendovi i pericolosi germi della nascita di una nuova identità cittadina, foriera di una futura disgregazione territoriale, è più che mai deciso a mettere in campo tutte le strategie ostative idonee, in modo da continuare a gestire in maniera verticistica ed "entro terra" anche la religione. Concorre ad ingrossare il coro della opposizione frontale anche la voce dei frati francescani del convento di San Gennaro di Palma, allarmati ad arte dal preoccupante assottigliamento del loro abituale bacino di utenza donde attingere le elemosine. La successiva visita pastorale, compiuta dal vescovo in persona, contribuisce a sbloccare d'autorità l'attuale impasse, giudicato surrettizio e privo di reale consistenza motivazionale, come dimostra, in maniera palmare ed inequivocabile, la fervida ed affettuosa ospitalità a lui riservata dallo stesso agente generale del Principe di Ottajano nella sua "casa di campagna". Le immediate consequenze del vittorioso intervento vescovile si avvertono il 16 maggio 1740, allorché operano con lena instancabile due missionari del suddetto ordine, don Angelo Bianco e don Agnello Cirillo, con un "fraticello laico", i quali utilizzano, provvisoriamente, un appannaggio di cento ducati e la piccola chiesa "privata" locale di San Francesco, "non più lunga che sedici palmi, larga dodici, e poco alta". La loro opera preziosa si estrinseca non solo nella calda ed eloquente diffusione del vangelo, accolto con entusiasmo gioioso da una folla sempre più straripante di fedeli, molti dei quali, non riuscendo a trovare posto nella chiesetta stracolma, si accontentano di sentirne la voce sotto una contigua "gran capanna di legno", costruita alla buona da alcuni volontari, ma anche dall'assistenza amorevole al capezzale di "infermi e moribondi", per il cui sollievo i religiosi percorrono "notte e giorno tre o quattro miglia per volta or in una parte or in un'altra". I ritmi incessanti di lavoro intenso spossano la gracile fibra fisica di don Agnello Cirillo il quale, colpito da "un fiero catarro di petto, è richiamato dai superiori in convento...... A questo punto lo scatto di orgoglio del vescovo di Nola, femo nel suo proposito di realizzare la costruzione della chiesa e della dimora per i missionari, porta alla ribalta della trattativa d'acquisto, avviata nei primi giorni del mese di gennaio 1742, dal procuratore Antonio Giuseppe de Luise, la proprietà terriera di Agostino Catapano, ubicata ai cosiddetti Catapani di Terzigno e pignorata dai creditori dall'anno 1662. La fase preliminare contempla la ridefinizione completa del bene in oggetto, eseguita, su disposizione del giudice Onofrio Scassa, dal "tavolario" del Sacro Regio Consiglio, Francesco Attanasio, con l'assistenza degli esperti di campagna locali, Giuseppe Carillo e Nicola Bifulco. La conseguente relazione, stilata il 6 aprile 1742, rettifica i dati catastali antecedenti, approntati dall'ingegnere Carlo Pepe e immessi nelle sue due perizie tecniche, datate, rispettivamente, 10 novembre 1671 e 8 luglio 1679. Sulla scorta del nuovo computo la distesa di terreno riacquista una sua precisa confinazione: a ponente la strada Ottajano - Scafati; a tramontana la strada vicinale, che "dalla strada pubblica conduce nei territori situati nella parte inferiore"; a levante i terreni di Carmine Minichino e di Aniello d'Arpaia; a mezzogiorno i terreni dei padri Camaldolesi del Sacro Eremo di Nola, nettamente delimitati dal lungo filare di "antichi piedi di cerque, lasciati anno per anno in tempo di puta, a capo di monaco".... ((Estratto dal libro di Luigi Iroso, Album di famiglia, Quaderni campani, San Giuseppe Vesuviano, 2003)).
 
Di Admin (del 09/08/2010 @ 17:07:36, in articoli, linkato 3938 volte)
Le origini del nostro Ginnasio - Liceo "A. Diaz" vanno ricercate nell'ultima parte dell'Ottocento, allorquando la nostra popolazione esprime l'ansia di una maggiore istruzione, tale da ampliare i saperi elementari. Ancora una volta la risposta viene dal mondo ecclesiastico il quale, allargando la sua presenza, già predominante ed esclusiva nella scuola di base, gioca un ruolo decisivo anche nel comparto scolastico superiore. Tende in questa direzione l'istanza avanzata dal canonico don Domenico Alfano il quale è deciso ad aprire ad Ottajano un convitto educativo privato, utilizzando le strutture dell'ex convento del Rosario, un tempo sede dei Perpetui Adoratori. La delibera comunale, stilata il 12 settembre 1876, esprime parere positivo alla concessione per venti anni dello stabile chiesto, ad eccezione della chiesa e di alcuni locali, riservati al rettore, al sagrestano e alla Congregazione di Carità. La Deputazione provinciale, intervenendo nel merito, il 21 marzo 1877, convalida l'approvazione comunale, anche se prescrive qualche rettifica sostanziale circa l'indirizzo metodologico ed il nome proposto, Vergine Immacolata: 1) Doversi mutare nome ....; 2) Doversi seguire nelle scuole i programmi governativi; 3) Doversi gli insegnanti sottoporsi al giudizio della commissione provinciale. Le osservazioni provinciali rispondono al rispetto di fondo della laicità statale: "Le cose sacre non vogliono mescolarsi con le profane". Sull'accettazione integrale di tutto il capitolato di appalto e dei suddetti rilievi imposti dalle autorità superiori procede il canonico Alfano che, nel frattempo, ha dato il suo nome alla nuova realtà scolastica, di cui egli diventa direttore. Nel contempo si mette in moto la macchina della propaganda, in cui si inserisce la circolazione di un libretto a stampa che annuncia, tra l'altro, l'apertura del nuovo convitto il 1° maggio 1877. Estrapolando qualche riga del manifesto apprendiamo che l'insegnamento riguarda le seguenti discipline: catechismo, lingua italiana, latina e greca, aritmetica, storia, geografia e calligrafia. A latere di queste, possono essere impartite "lezioni straordinarie", dietro compenso aggiuntivo, di musica, disegno, lingua francese e declamazione. La cerimonia della inaugurazione del convitto Alfano avviene nella prima parte di giugno del 1877, alla presenza di una folta platea giovanile, proveniente da Napoli e da Portici, plaudente alle orazioni del sindaco Luigi Casotti e del vescovo di Nola, mons. Giuseppe Formisano. Gli anni immediatamente successivi segnano un vero e proprio successo per il convitto, ove si registra, addirittura, la presenza massima di quaranta convittori. Il cambio del trend ascensionale, avvenuto il 1882, preoccupa le autorità comunali, decise a comprendere la genesi del fenomeno negativo. Risulta chiara in proposito la relazione, letta nella seduta di consiglio comunale, il 14 novembre 1882, dall'avvocato Angelo d'Ambrosio, presidente della commissione, di cui fanno parte i consiglieri comunali Pasquale Bifulco, Giuseppe Pappalardo e Francesco Saviano. A giudizo del relatore, molteplici sono le cause dell'attuale stato di impasse del convitto: in primo luogo l'aumento della tassa mensile, passata da trenta a trentacinque lire; in secondo luogo, la scarsa qualità del vitto; infine, l'inadeguata qualità dell'insegnamento: "Manca ogni maestro didattico e si disconoscono tutte le regole della moderna pedagogia. La maggior parte del tempo viene ivi occupata in pratiche religiose a discapito della vera istruzione". Peggiora la situazione l'amara riflessione del duca di Miranda, Michele de' Medici, sulla presunta preparazione degli alunni, mostrata durante gli ultimi esami:"... non si faceva dire una parola sola agli alunni della nostra patria di sacrifici sostenuti dalla patria per renderla una e indipendente ..... I maestri scarsi di numero, scarsamente retribuiti, non idonei all'insegnamento". L'approvazione della relazione da parte della maggioranza dei consiglieri comporta la chiusura del convitto per un anno. Seguono molti tentativi protesi a ridare slancio alla riapertura dei battenti dell'istituzione scolastica: in tale direzione mirano gli interventi di alcuni canonici, tra i quali si distinguono, dapprima, don Pietro Sparanise, quindi don Pasquale De Gennaro il quale, nel 1887, trasporta nei locali del Rosario il convitto Casanova, infine, don Francesco Mascia. Quest'ultimo, con lettera datata 10 ottobre 1895, chiede la modifica di alcune clausole incluse nel capitolato già sottoscritto, tra cui 1) Inversione delle somme stabilite per gli utensili di cucina e per gli attrezzi ginnastici; 2) Portare la tassa scolastica per gli esterni da lire tre a lire cinque mensili; 3) L'uso della seconda scala sita al pianterreno, adibita finora per la 1° classe eleemntare nell'altra più ampia, che è la 4° e fu adibita nel 1° e gran parte del 2° anno scolastico per refettorio .... 4) Condono, per i primi cinque anni delle cento lire che sono obbligato a pagare per l'uso del locale concesso. Tutto ciò è finalizzato, a parere dello scrivente, al buon esito della ispezione, propedeutica al "pareggiamento delle scuole ginnasiali". Quattro giorni dopo, il consiglio comunale vi appone il suggello dell'approvazione. La questione del "pareggiamento" ritorna, in maniera preponderante, il 3 marzo 1896, allorché il consiglio comunale, presieduto dal sindaco Luigi Scudieri, avvia l'iter, di durata biennale, per il pareggiamento del ginnasio e, nell'immediato, chiede al Ministero dell'Istruzione Pubblica il riconoscimento legale degli esami, tenuti in sede, per i soli iscritti alla quinta ginnasiale, subordinandone l'approvazione ad una eventuale ispezione ministeriale. La richiesta comunale, articolata nelle motivazioni didattiche, incentrate sulla superiorità dell'insegnamento "governativo" rispetto a quello privato, contiene, nel corpo del documento, richiami ad analoghe concessioni, elargite ad altre istituzioni scolastiche che versano nelle stesse condizioni, come il seminario di Nola. L'istanza, accolta favorevolmente dalle autorità ministeriali grazie all'interessamento del deputato del nostro collegio elettorale Domenico Zainy, è vincolata al rispetto delle seguenti tre condizioni: composizione della commissione esaminatrice, indennità ai commissari e pagamento della relativa tassa. La giunta municipale, il 16 maggio 1896, non solo accetta tutte le condizioni del provvedimento ministeriale, ma ne chiede la proroga anche per l'anno successivo. Lungo tali direttive ondivaghe si spengono gli ultimi battiti del secolo diciannovesimo e si sostanzia il primo segmento del secolo successivo, allorché l'ardore patriottico di molti giovani, formatisi sui banchi del nostro Ginnasio, si traduce nel sacrificio estremo della loro vita durante il primo conflitto mondiale. La riproposizione delle loro generalità, poste, in particolare evidenza, a conclusione di questo articolo, è un piccolo segno dell'ardore e della memoria perenni con cui li onoriamo, perché essi costituiscono gli esempi paradigmatici della nostra grande famiglia liceale. Allorquando si spengono definitivamente i fuochi bellici, vien completata la più feconda attività burocratica a favore del nostro Ginnasio. Infatti, è davvero un atto di fede quello che spinge l'amministrazione comunale ottavianese ad attivare con il Ministero della Pubblica Istruzione nel primo ventennio del Novecento, un complesso iter burocratico, proiettato a sottrarre la gestione del ginnasio locale dalle mani private del comm. Alfonso Chierchia, direttore del locale convitto, e a consegnarlo libero alla collettività. Questa idea, affascinante e ambiziosa, poggia sui valori forti della cultura classica, la quale fa passare in secondo piano anche il consapevole impegno ad erogare dalle casse pubbliche i relativi contributi economici, destinati ad inverarne l'essenza. Per questo motivo condividiamo in pieno la gioia del sindaco Adamo Scudieri il quale, nella seduta consiliare del 2 dicembre 1921, alla presenza dei consiglieri Achille Mazza, Pasquale Iervolino, Luigi Annunziata, Luigi Scudieri fu Raffaele, Angelo Annunziata, Giuseppe Boccia, Giuseppe Giordano, Domenico Arpaia, Salvatore Franzese e Giuseppe Pascale, annuncia al paese la felice conclusione di quel progetto, in virtù del quale, dall'anno scolastico 1921 - 22, inizia la vita statale del Regio Ginnasio "G. Leopardi", ubicato nell'edificio comunale del Rosario. La "regolare convenzione", incentrata sulla istituzione ginnasiale "senza verun pagamento" e sulla fornitura da parte del Comune di Ottaviano di "locali, acqua,luce, arredamento, libri, materiale scientifico, segretario e bidello", viene accettata con tutte le sue condizioni dal Consiglio, che provvede subito a ratificare, a scrutinio segreto, anche la nomina del prof. Donato Ambrosio quale annuale segretario provvisorio dell'istituto scolastico "con l'assegno di lire 800". Il primo anno di vita registra entusiasmo e vivacità culturali, che si concretizzano nella frequenza di molti alunni, ventitré in quarta ginnasiale e dieci in quinta, il maggior numero dei quali proviene dalle diverse zone del circondario, sotto la direzione coordinatrice del prof. Pasquale Ardito. L'attività didattica, che si svolge in tre trimestri, verte sullo studio di italiano, latino, greco, francese, storia, geografia, matematica, storia naturale ed educazione fisica. Le prime quattro discipline si dividono in una parte scritta ed in una orale. Tali impegni non allontanano la ilarità sonora dalle labbra dei giovani, la cui eco si coglie non solo tra le volte del corridoio, ma, in qualche caso, anche tra le pareti della classe. Puntuale giunge il rapporto dell'insegnante a carico dell'alunno colto in flagranza di colpa: "Punito con quattro in condotta al secondo trimestre". Anche in questo caso l'irrogazione della punizione non è preclusiva, se viene riscattata dall'interessato con intensità di dedizione e di resa culturali. Infatti, lo scrutinio finale offre tre risultanze, espresse nei tre termini burocratici del tempo: dispensato, ammesso o escluso. Nella prima tipologia rientra l'alunno che, avendo riportato, nello scrutinio finale, una votazione superiore a sei, viene promosso alla classe successiva; nella seconda, invece, è annoverato colui che, essendo stato scrutinato con una classificazione finale, alterna di sufficienze e di insufficienze, deve conquistare la promozione alla quinta ginnasiale, sostenendo positivamente le prove d'esame a luglio, o, in subordine, a ottobre; nella terza, infine, viene incluso l'alunno giudicato non idoneo a frequentare la classe seguente. Lo stesso iter didattico riguarda anche gli alunni della quinta ginnasiale. Gli esami, che si svolgono con una commissione interna, vedono i discenti ginnasiali impegnati a conferire su tutti i programmi scritti, che prevedono, rispettivamente, una traduzione dal latino in italiano, una seconda dall'italiano in latino, una terza dal greco in italiano ed una quarta dal francese in italiano. Ognuna di queste ha valore a se stante, nel senso che l'eventuale insuccesso, riportato in una prova scritta nella prima sessione, comporta il suo rifacimento nella sessione autunnale. Durante le prove vale lo spirito di concentrazione fattiva dell'alunno, per il quale il giudizio di ammissione ha soltanto la funzione di presentazione non vincolante. Le esigue tasse di frequenza a carico degli alunni di quarta ginnasiale si dividono in quattro rate, ognuna delle quali è di trentotto lire e ottantacinque centesimi, pagabili, rispettivamente, nei mesi di ottobre, gennaio, febbraio e maggio. Invece, per quelli di quinta, alle suddette rate se ne aggiungono altre due, una di ottantacinque lire e dieci centesimi per la licenza, un'altra di otto lire e dieci centesimi per il diploma. E' prevista anche la dispensa dalle tasse a favore degli alunni meritevoli e indigenti dietro deliberazione del consiglio dei docenti. Il primo anno si conclude positivamente, anche se, il 31 agosto 1922, il segretario scolastico rassegna le sue dimissioni dall'incarico e le trasmette al Sindaco, corredate da opportune motivazioni. Esse non offrono particolari difficoltà alla seduta consiliare del 21 settembre successivo: viene salutato il titolare della segreteria ginnasiale, accompagnato da un encomio solenne, tributatogli, su proposta del consigliere don Biagio Ambrosio, "per la solerzia ed intelligenza addimostrati nell'esercizio delle funzioni di segretario del Regio Ginnasio". L'occasione è propizia per ascrivere lo stipendio della bidella, che ascende a 720 lire, in un articolo specifico del bilancio comunale, "essendosi finora provveduto al pagamento mediante storno di fondi, per mancanza di apposito stanziamento". Il secondo anno, invece, si apre all'insegna di gravi difficoltà. Infatti, la vigilia è segnata dalla morte prematura del preside Pasquale Ardito, stroncato a soli quarantotto anni da un attacco cardiaco. Ci duole di non aver rinvenuto nei documenti ufficiali alcuna traccia dell'operato e della personalità del primo preside del nostro Ginnasio, tranne la foto riprodotta, gentilmente fornitaci dalla nipote, prof. ssa Rosa Maria Ardito. La fulminea scomparsa attiva il corso della successione presidenziale, che viene conferita al prof. Giocondo Precedello il quale è, nel contempo, anche insegnante di lettere al ginnasio. Ma le maggiori preoccupazioni si rivelano nel prosieguo dell'anno, allorché affiorano in superficie i contraccolpi violenti di quanti, all'esterno, non sopportano la nuova realtà culturale e tramano in silenzio, all'insaputa dei sedici alunni di quarta ginnasiale e dei quindici di quinta, i quali sono immersi nei loro doveri scolastici. Eppure la vita interna dell'istituto scorre all'insegna della produttività intellettuale, stimolata dall'operato proficuo dei docenti Mezza, Vollaro, Lombardo, Lezzi e Annunziata, pronti ad assolvere il loro mandato istituzionale con dedizione completa, nonché a mostrare il loro viso duro solo quando qualche alunno non rispetti le norme di buon comportamento. In realtà l'intervento disciplinare non è una costante, né un fenomeno a largo raggio, ma è circoscritto a qualche sparuto e isolato caso, esploso più per improvvisa ed eccessiva vivacità che per scostumatezza comportamentale di fondo, dal momento che l'alunno colto in flagrante si segnala per profondità culturale. Ciò non frena il prof. Lombardo dal prendere sul conto dell'interessato un drastico provvedimento, proporzionato alla gravità della colpa e trascritto sul registro generale: "Punito con giorni venti di sospensione dalle lezioni (22 febbraio - 13 marzo) e con l'assegnazione di cinque in condotta come media del secondo trimestre per sparo di rivoltella in classe". Per il resto l'ambiente scolastico risulta sereno ed operativo. Tale operatività non vale ad attutire la voce ostile esterna, la quale si ingrossa maggiormente in occasione dell'avvento della comunicazione n° 5627, stilata sulla scia del Regio Decreto n° 685 del 14 aprile 1923 e trasmessa dal Regio Provveditorato agli Studi di Napoli, il 19 aprile, alle autorità comunali. All'uopo viene convocata, il 27 maggio 1923, la seduta consiliare, in cui il sindaco Adamo Scudieri comunica le dure disposizioni governative, le quali, dichiarando facoltativa la istituzione ginnasiale, ne subordinano la sopravvivenza "all'accettazione da parte di questa Amministrazione dell'obbligo di corrispondere allo Stato, per il suo mantenimento, a decorrere dal 1° ottobre 1923, il contributo finanziario di lire 2500 ed all'accettazione degli altri oneri che già sostiene". Il Consiglio ne prende atto e, deciso a non deflettere dalla nobile istituzione messa in piedi, si riserva di dare una risposta adeguata alle autorità superiori, dopo aver studiato e risolto le enormi complessità strutturali. L'ostinazione politica ottavianese a resistere ad oltranza deriva dal fatto che vi vede in gioco il prestigio stesso della cittadinanza, la quale vanta la primogenitura dell'iniziativa in tutta la nostra fascia provinciale, compresa la città di Nola, il cui ginnasio risulta ancora pareggiato. Tocca al sindaco Pasquale Cola comunicare al consesso comunale, l'11 maggio 1924, la felice risoluzione del problema. Dopo un attento esame dell'intricata questione, analizzata nelle sue intime pieghe grazie all'apporto delle "informazioni avutesi con l'intendenza di Finanza", egli fissa la relativa tabella contributiva comunale a favore dello Stato, graduata nelle cifre sino al tetto massimo delle 2500 lire nei termini seguenti: Per l'esercizio 1923-24: lire 9375,00; per l'esercizio 1924-25: lire 14843,75; per l'esercizio 1925-26: lire 17968,75; per l'esercizio 1926-27: lire 21093,75; per l'esercizio 1927-28: lire 25000,00. Le rispettive somme vengono drenate dal fondo "dazio consumo" e riscosse in due rate uguali: una entro il 15 maggio, l'altra entro il 30 giugno. L'anno successivo il suddetto piano finanziario viene rimandato al mittente dalla Finanza, la quale ne lamenta la precarietà del "cespite dato in riscossione senza obbligo del non riscosso per riscosso". A siffatto rilievo si ovvia facilmente il 2 aprile 1925, allorché il Consiglio comunale, presieduto dal sindaco Pasquale Cola, offrendo le debite delucidazioni, ne sposta la fonte "sul provento del fuocatico". Intanto i marcati segni del tempo aprono squarci paurosi nel cuore dell'edificio scolastico, messo a dura prova, in ordine successivo, dall'eruzione del Vesuvio del 1906 e dai danni della grande guerra, durante la quale i suoi locali hanno offerto l'alloggio "ad un distaccamento del 31° fanteria e ad un reparto di prigionieri austriaci". La sua precarietà statica, visibile, soprattutto, nei lastrici e nei tetti, preoccupa molto l'amministrazione comunale, impossibilitata ad intervenire nel merito, data la mancanza assoluta di ulteriori fondi. Ancora una volta, però, prevale la fantasia politica la quale, escogitando un piano alternativo, si apre al sociale, stimolando "l'idea di adibire tale edificio a convitto, ove già precedentemente vi era allogato e con vita prosperosa". Non si tratta di un passo indietro, sebbene di un audace gesto di connubio tra pubblico e privato, al fine di superare le difficoltà contingenti del momento, anche perché le iscrizioni al Ginnasio nostrano registrano un treoccupante trend negativo, ridotto ad una decina di alunni per classe negli anni scolastici 1924-25 e 1925-26. Rispondono all'appello nominale due offerte: una è del prof. Cesare Tropea, l'altra dei proff Alfonso Chierchia e Fulgenzio Mascia. Questi ultimi, avanzando proposte più convenienti per gli interessi comunali, si aggiudicano la regolare gara d'appalto e ne accettano il relativo capitolato, mirato a concedere una boccata di ossigeno all'amministrazione comunale mediante l'utilizzo di denaro fresco dei privati, messo in circolazione a vantaggio della collettività. I volti dei consiglieri risultano più distesi il 12 luglio 1925, allorché ascoltano dalle labbra del sindaco Pasquale Cola le condizioni accettate dai nuovi concessionari, i quali sono disposti non solo a pagare alle casse comunali la pigione di seimila lire annuali, ma anche a farsi carico delle riparazioni all'edificio, nell'arco di un triennio, soddisfacendo, a spese personali, la somma preventiva di 64350, secondo l'annesso progetto elaborato dall'ing. Pecoraro. Nel contempo la Giunta comunale si adopera in tutti i modi a favorire ogni iniziativa che possa incrementare la platea scolastica del Ginnasio, allargando il suo bacino di utenza anche nei paesi viciniori. In tale ottica va letta la richiesta, sollecitata anche dalla stampa napoletana e inviata, il 29 ottobre 1925, al dirigente della Società SS. FF. MM. SS. cav. ing. Vanzi, affinché la corsa ferroviaria mattutina che, partendo da Napoli si conclude alle ore 7,40 a Somma Vesuviana, prosegua fino a San Giuseppe Vesuviano. L'attuale stallo della nostra linea ferroviaria, se confrontata con quella più agile di Pompei, dotata di "un numero maggiore di corse con materiale scelto e con treni celeri", trasforma il sospetto in verità di fondo: a nulla ci è servita la sua trasformazione in trazione elettrica. Senza voler indugiare in una sterile polemica campanilistica, il documento si sofferma a mettere in luce l'importanza della cittadina ottavianese, punto nodale di attività commerciali ed industriali, nonché sede della Pretura, dell'Ufficio del registro e dell'unica scuola statale completa lungo l'asse Napoli-Ottaviano-Sarno. L'impellente penuria delle risorse pubbliche, devolute, per lo più a riparare i guasti prodotti alla cittadinanza dai tremendi eventi naturali, come le ferite belliche o le cicliche alluvioni, non fa scivolare dal petto delle autorità comunali le necessità culturali, ma ne aguzza, in maniera insolita, l'ingegno, proteso, persino, a battere sentieri inesplorati. Esemplare risulta in proposito la richiesta inoltrata, il 7 gennaio 1926, all'amministrazione provinciale, tendente ad ottenere "un equo sussidio quale concorso al mantenimento del R. Ginnasio". Certamente non è messa affatto in discussione l'erogazione di piccole cifre, destinate alla normale amministrazione della Scuola. Di ciò è pienamente convinto lo stesso preside, prof. Giocondo Prevedello. Egli, dietro accordo verbale con il sindaco Pasquale Cola, non ha bisogno di attendere l'autorizzazione comunale per provvedere in proprio ai fabbisogni costanti dell'istituto, le cui cadenze sfuggono a qualsiasi preventivo. Puntuali e tempestivi giungono i rimborsi di spesa, supportati dalla esibizione delle rispettive fatture, gelosamente custodite ed annotate nell'apposito registro contabile. Contrariamente alle aspettative generali, il contratto di affitto dell'edificio pubblico del Rosario non viene sottoscritto dai due aggiudicatari, Chierchia e Mascia, in seguito a contrasti privati sorti tra i due. Al loro posto subentra il prof. Antonio Romano, la cui richiesta costituisce l'ordine del giorno della seduta consiliare del 24 giugno 1926. Il voto unanime dei presenti delega la Giunta a "compilare un capitolato d'oneri che risponda alle richieste del prof. Romano e alle garanzie pel Comune, tenendo presente quello già precedentemente deliberato dal Comune nella tornata del 30-8-1925". Dopo poco tempo ritorna in campo il prof. Mascia che, riaprendo la gara con il suo contendente, contribuisce a far lievitare l'offerta base. La partita si conclude vittoriosamente a favore del prof. Romano. Sull'argomento si svolge un'intera seduta del consiglio comunale, il 25 luglio 1926. Il presidente del consesso Pasquale Cola, assistito dal segretario comunale, Carlo Carola, dopo aver relazionato all'assemblea su questo capo posto all'ordine del giorno, invita i consiglieri a prendere decisioni immediate e definitive, onde non perdere ulteriore tempo. Ottenuta la parola, il consigliere Angelo Annunziata "ritiene doveroso comunicare al prof. Mascia le nuove offerte e i vantaggi della recente istanza del prof. Romano". A questo punto fa bene il consigliere Francesco Saviano a chiedere il prosieguo dei lavori a porte chiuse, dal momento che la discussione comporta la chiamata in causa di persone. Approvata alla unanimità la proposta e fatto allontanare il pubblico dall'aula consiliare, il tono dialogico diventa acceso. Riprende la parola il consigliere Saviano, il quale reputa che la proposta, avanzata da Annunziata e mirata a riconvocare il prof. Mascia, sia una inutile perdita di tempo. Le informazioni in suo possesso sul conto del prof. Romano sono soddisfacenti per sciogliere la riserva a suo vantaggio, dal momento che il richiedente presenta al suo attivo "una vita spesa tutta nelle scuole medie, da cui ha tratto la esperienza necessaria a dare indirizzo ad un convitto". Ne è prova significativa la vivace vita dell'istituto partenopeo, il Vittorio Colonna, di cui il prof. Romano è direttore - proprietario. A questa proposta si associa anche il consigliere Scudieri il quale, pur apprezzando la "delicatezza" comportamentale di Annunziata, teme che si possa scatenare un circolo vizioso di continue riconvocazioni delle parti, in cui l'unico a subire i reali danni è il bene collettivo. Una vampata di orgoglio personale ammanta l'ulteriore intervento di Saviano. Egli, dopo aver stigmatizzato le inadempienze del prof. Mascia, reo di aver disatteso tutti gli impegni assunti l'anno precedente, si attribuisce il merito di aver sempre difeso la bontà dell'istituzione del Regio Ginnasio, schierandosi, persino, contro l'opinione opposta dei vari regi commissari, succedutisi a reggere le sorti del Comune, tra i quali il generale Gustavo Durelli. Alla luce dei fatti la vittoria arride alla schiettezza delle sue idee, le quali volano al di sopra delle persone e mirano ad "infondere nuova linfa nel Real Ginnasio". Entra, poi, nella discussione il consigliere Prisco il quale, invece, è favorevole alla sospensiva. La seduta è sciolta dopo l'approvazione unanime di una nuova proposta del consigliere Annunziata che delega la Giunta a presentare, entro la domenica successiva, 1° agosto 1926, "il capitolato di oneri per la concessione più conveniente al Comune sotto ogni aspetto morale e finanziario". La Giunta comunale lavora con solerzia nei sei giorni interini, dal momento che in questo strettissimo lasso di tempo prepara il capitolato d'appalto e lo porta, secondo gli accordi presi, all'attenzione del consiglio comunale per discuterlo ed approvarlo, il 1° agosto 1926. Ancora una volta le condizioni contemplate risultano molto favorevoli al Comune, dal momento che l'aggiudicatario prof. Romano si impegna non solo a ristrutturare lo stabile a proprie spese, che ascendono a 35.000 lire, secondo il progetto elaborato dall'ing. Achille Giliberti, ma anche a versare nella casse comunali quale pigione annuale settemila lire per il primo quinquennio e 1300 lire dal sesto in poi, somme da pagarsi a rate bimestrali anticipate. Non è ozioso affondare lo sguardo in alcuni capitoli della convenzione testé approvata, in quanto la loro lettura ci consente di avere una chiara idea topografica dell'intero edificio del tempo. Così sappiamo che l'intera vita del Regio Ginnasio, sia quella didattica che quella amministrativa, si svolge nei sette vani, situati al primo piano e prospicienti via alveo Rosario, con il tratto di terrazza interno parallelo. Invece, rientrano a disposizione del convitto le seguenti parti: a) tutti i vani a pianterreno, l'atrio, la chiesa e la sagrestia, meno il salone a destra dell'ingresso; b) i due vani allo stato primitivo, siti a primo piano a nord - est del Tennis, androne a pianterreno per l'ingresso di servizio e la striscia di terreno battuto parallelo al passaggio a vetro, che corre lungo il salone fino alla finestra del refettorio; c) la stanza sulla scalinata al piano matto; d) i due dormitori con le attigue terrazze vicine al cortile, il corridoio, la serie parallela di quattro stanze, più una all'estremità ovest, tutto al primo piano; e) l'intero secondo piano, compresa la grande terrazza. Ancora una volta intralci di varia natura impediscono la sottoscrizione del contratto già stilato. Questa volta la colpa è da attribuire non all'aggiudicatario, bensì ad una serie di concause. Le spiega bene il prof. Romano nella sua lettera inviata all'amministrazione comunale: egli lamenta, innanzi tutto, la consegna tardiva e parziale dei locali del Rosario; quindi, la lentezza burocratica della pratica, al punto tale che gli risulta impossibile sincronizzare il funzionamento del convitto con l'apertura dell'anno scolastico, il che ha significato per lui una perdita secca in termini economici. A questo punto non gli rimane altro che chiedere l'esonero dal pagamento del canone per i primi due anni, nonché alcune agevolazioni contrattuali in termini di proroga temporale. L'istanza epistolare costituisce l'argomento della discussione nella seduta consiliare del 31 ottobre 1926. La sostanza del ricorso viene considerta del tutto fondata: infatti, il secondo piano dell'edificio è tuttora occupato dalle scuole elementari, le quali vi permarranno finché non si troverà una sede idonea; buona parte dei locali del pianterreno è destinata ad accogliere i bambini dell'asilo "Regina Margherita", nel cui edificio, invece, è allocata la Regia Scuola Industriale. Siffatto riconoscimento non può esimere l'intero consiglio dall'accettare unanimamente le proposte di modifiche avanzate dal prof. Romano. Nemmeno la convalida delle istanze, avanzate dal prof. Romano, da parte delle autorità comunali spiana la strada per dare ariosità sufficiente alla sottoscrizione della nuova convenzione, che deve avere esecuzione dal 1° luglio 1927. Infatti, l'aggiudicatario, pur avendo occupato, anteriormente alla suddetta data, i locali del primo piano, non si presenta a dare veste giuridica al suo ruolo. Anzi, risulta abile ad adottare ogni stratagemma per procrastinarne i tempi: rimanda i reiterati inviti, calpesta tutte le voci del capitolato e giunge, persino, ad eludere il "pagamento delle pigioni sinora maturate". Immuni da tali diatribe, le sequenze educative ginnasiali obbediscono ai salubri richiami culturali, corroborati dalla presenza attiva del preside Prevedello il quale, il 1° gennaio 1928, nell'incipit del nuovo registro dei verbali, si augura "di non dover proporre né punizioni né rimproveri ad alunni, compiacendosi anzi della buona condotta di questi, che già mostrano di sentire lo spirito rinnovato di idee, sorto col fascismo". Questo clima nuovo aleggia nell'ultima circolare ministeriale che obbliga i docenti di lettere a tenere una conferenza di geografia. Gli interessati, riunitisi in presidenza, il 10 gennaio 1928, stilano un calendario dettagliato delle tematiche da sviluppare e dei rispettivi oratori: il presdie affronta il tema "Le Alpi e la loro importanza politica ed economica", il prof. Gioacchino Longobardi "Gli Stati dell'America meridionale e le colonie di popolazione italiana", il prof. Aniello Bifulco "Le colonie italiane", il prof. Donato Ambrosio "La produzione dei cereali nel mondo e in Italia", il prof. Giuseppe Vollaro "Il Mediterraneo e la formazione degli Stati attuali con riguardo alla posizione dell'Italia". Ma i palpiti del cuore giovanile non collimano con gli auspici del capo di istituto, poiché, poco dopo, il 16 febbraio 1928, in occasione dello scrutinio del secondo bimestre, sono vergate, tra l'altro, in quel registro le annotazioni negative nei confronti di alcuni alunni, pochi in verità, cui viene imputato scarso impegno nello studio. Anzi, il 30 aprile 1928, è convocato d'urgenza il collegio dei professori per affrontare un "caso disciplinare". Una lite tra due discenti, sorta durante il momentaneo allontanamento dell'insegnante dalla classe per "impellente necessità personale", fa comminare all'aggressorte quattordici giorni "di sospensione da tutte le lezioni, salvo ulteriori provvedimenti nel voto di condotta finale". Al di fuori di questi singoli provvedimenti, l'anno scolastico si avvia alla felice conclusione, dopo che gli insegnanti hanno adottato i libri per l'anno successivo in due sedute collegiali, l'una svoltasi il 28 maggio, l'altra il 5 giugno 1928. Scorrendo l'accluso elenco, che annovera venticinque testi per la quarta ginnasiale e ventisette per la quinta, compresi i vocabolari, notiamo come la parte del leone è esercitata dall'italiano, soprattutto, per l'ampio spazio riservato ai classici che spaziano dallo studio obbligatorio dell'Eneide e dei Promessi Sposi fino alla lettura delle tragedie dell'Alfieri o delle opere di Parini, oltre ai brani dell'antologia, corredata da due ulteriori testi di retorica e di stilistica. Non nascondiamo di provare una immensa gioia, allorché incontriamo di nuovo qualche caro sussidio, che ha fatto "scuola" anche nella nostra adolescenza, come l'intramontabile vocabolario di latino "Campanini e Carboni", o quello di Georghes, la grammatica e gli esercizi di Zenoni, il vocabolario di italiano di Zingarelli , il "Ghiotti" di francese, manegevole nella consultazione, ma completo nella resa linguistica, l'inossidabile atlante geografico della De Agostini, ad ognuno dei quali ci lega qualche ricordo, richiamato per qualche attimo dall'album del nostro vissuto. Terminate le operazioni di scrutinio finale, il 4 luglio 1928 segna il giorno ufficiale della chiusura dell'anno scolastico: i docenti depositano in presidenza la loro relazione conclusiva sull'andamento didattico della loro classe, nonché un piano di lavoro per l'anno successivo; si impegnano ad essere tutti presenti nel mese di settembre per gli esami di riparazione; quindi si congedano partendo per le meritate vacanze estive. Nel frattempo, sul fronte delle trattative comunali per l'affitto dello stabile del Rosario, il prof. Romano insiste in una serie di inadempienze, che entrano a far parte, nel marzo 1928, del rapporto durissimo stilato dal Commissario Provinciale degli Atti. Di fronte a ciò, il potestà Pasquale Cola, il 24 agosto 1928 a. VI, d'autorità, revoca al suddetto assegnatario la concessione e lo invita a consegnare i locali entro tre giorni da quella data. Il prof. Romano obbedisce nei termini stabiliti all'ingiunzione, ma inoltra ricorso al Consiglio di Stato avverso la deliberazione di revoca. A questo punto non rimane altro al Comune di Ottaviano che affidare la difesa delle sue legittime motivazioni all'avv. Gustavo De Laurentis. Dopo quattro giorni giunge sul tavolo del podestà una nuova richiesta del prof. Alfonso Chierchia il quale si dichiara disposto a rispettare tutti gli obblighi stabiliti per la concessione nel capitolato pubblico, stilato con il suo predecessore, "senza riserva di sorta". Sono ancora impressi nella coscienza ottavianese i meriti del suo antico convitto, "vivaio di quei giovani di questa plaga vesuviana che oggi occupano i migliori posti in società e nella grande Guerra si distinsero per il loro valore". Sull'onda di questo ricordo viene accolta l'offerta del prof. Chierchia e l'amministrazione comunale si impegna a redigere un contratto, la cui validità, però, inizia con il nuovo anno. Questa volta l'assenso non basta al prof. Chierchia per coltivare il sogno di rinverdire i fasti del passato, poiché la sua morte prematura lascia il vuoto dietro di sé. Vediamo, il 18 ottobre 1929, i suoi eredi intenti a cedere al Comune per la cifra di lire 1800 le ultime tracce del defunto, rappresentate da suppellettili scolastiche nuove: "settanta banchi, quattro cattedre complete, tre lavagne con cavalletti, due tavoli per disegno, sei scaffali ed altro materiale di minore importanza". Tutte queste suppellettili vanno ad arricchire l'arredo del nostro Ginnasio, tra le cui pareti la vita didattica è nel pieno del suo fervore. Nel frattempo lo stabile del Rosario non è disposto ad attendere ulteriormente la girandola di febbrili ma lente trattative e, a più riprese, fa sentire la sua impazienza con spallate laceranti. Così l'intervento comunale, per quanto parcellizzato e diluito per motivi di cassa, non lesina il suo apporto, anche se con lavori di economia, rispondendo, almeno, alle necessità più urgenti. L'ultima, in termini temporali, intenzione fattiva del Comune è il finanziamento di un progetto più generale di interventi strutturali, contemplati nel progetto dell'arch. Alfredo Criscuolo e sollecitati dallo stesso preside del Ginnasio, Giocondo Prevedello. All'uopo viene stanziata la somma di lire 5760, il 1° maggio 1929 a. VII. Effettivamente il preside del Ginnasio, anticipando future funzioni richieste dalla categoria, indossa spesso i panni del manager, allorché lo vediamo impegnato, in prima persona e nell'interesse della scuola, in iniziative autonome. La sua azione è resa più agevole dal rinnovo verbale di autonomia finanziaria da parte del podestà il quale è sempre sollecito nel rimborsargli qualsiasi spesa, dopo aver esperito la prassi consolidata, relativa alla esibizione delle fatture. Immaginiamo, quindi, la delusione provata dal preside Prevedello, il 14 marzo 1930, allorquando viene diffidato dall'eseguire spese, senza che esse siano preventivamente deliberate. Questa non è la voce del podestà Pasquale Cola, ma del suo successore, il commissario prefettizio, rag. Luigi Zuppardo. Il capo di istituto, fiero della onestà della sua condotta, non è disposto a tenersi le bacchettate di correttezza amministrativa impartitegli alla cieca, per cui, il 6 maggio 1930, gli invia una risposta scritta, onde sgombrare il campo da qualsiasi illazione gratuita e inopportuna. Lo scrivente è pronto a seguire l'iter procedurale suggerito dal nuovo inquilino del palazzo ottavianese, per cui si impegna ad inoltrare al mittente, ad inizio del prossimo anno scolastico, "la nota di quanto possa occorrere per la fornitura del Ginnasio di oggetti di cancelleria ed affini e pel mantenimento e pulizia dei locali e che nulla sarà acquistato senza autorizzazione". Nel contempo egli, inalberando il vessillo del bene collettivo, ricalca la valenza del suo ottennio presidenziale, appllandosi al vissuto concreto, visibile nel patrimonio più vivo del Ginnasio: "... la palestra è quasi tutta opera mia personale ed è tutta spesa del ginnasio e di qualche sussidio governativo la nuova bandiera, un corredo quasi completo di carte geografiche, il rifornimento annuo alla biblioteca di carte geografiche, che possiede ben tredicimila lire ed è eretta ad ente morale". Tutto ciò non turba la chiusura regolare dell'anno scolastico in corso, che contempla lo scrutinio finale, svoltosi il 6 giugno 1930, e i rispettivi esami, conclusi il 29 giugno successivo. Intanto il commissario prefettizio Luigi Zuppardi, assistito dal segretario comunale, Carlo Carola, il 26 giugno 1930, provvede ad onorare gli impegni pubblici, assunti dall'ente politico locale all'atto della convenzione, circa l'obbligo di dare una abitazione al bidello del Ginnasio. La sua procedura è in linea con l'operato del suo predecessore, il podestà Pasquale Cola, di cui riprende "i lavori a pianterreno dell'edificio del Rosario, per provvedere alla richiesta abitazione, aprendo dei vani inutili". Questi lavori di adattamento, che impegnano la spesa di lire 1200, vengono eseguiti dall'imprenditore ottavianese Gennaro Visone, dietro progetto dell'ingegnere comunale Saverio Scudieri. Dopo pochi giorni, l'11 luglio 1930, giunge anche l'approvazione superiore circa la esecutività di altri interventi aggiuntivi a favore dell'istituto ginnasiale: "... due nuove bussole di legno e le riparazioni di tutte le chiusure in legno e dei telai delle finestre e balconi delle diverse aule scolastiche, rimpiazzo di quaranta vetri". A fronte del massiccio investimento di risorse economiche, il Commissario prefettizio non può alleggerire, a carico degli studenti, la tassa erariale di frequenza, mantenuta, però, in maniera eguale a quella in vigore nell'anno precedente. Poco dopo il disastro tellurico del Vulture, scoppiato il 23 luglio 1930, lascia segni marcati in tutta la nostra realtà cittadina. Non ne rimane immune l'edificio del Rosario, che continua ad accogliere le scuole elementari ottvianesi ed il Real Ginnasio, minato nell'arcata centrale del salone a pianterreno. Queste pericolose lesioni destano molte preoccupazioni anche all'occhio dell'ingegnere del Genio Civile, incaricato dall'Alto Commissario di accertare i danni cagionati. La sua conseguente relazione, stilata a tinte forti, accelera i tempi burocratici, tanto che, il 7 agosto 1930, risulta esecutiva la delibera del nuovo Commissario prefettizio Giuseppe Ruggieri, almeno per ciò che concerne la risoluzione della falla più vistosa: viene ordinata, con rito d'urgenza, la "tompagnatura" dell'arco lesionato. Anzi, con la stessa delibera, è affidato l'incarico all'ingegnere Ernesto di Palma di stilare un progetto integrale "per la sicurezza dell'edificio stesso". Frattanto, il 28 agosto 1930, l'avvocato Gustavo de Laurentis, difensore degli interessi comunali nell'annosa lite con il prof. Antonio Romano, comunica l'esito favorevole della sentenza, emessa dalla prima sezione civile del tribunale di Napoli. In ottemperanza a ciò il Commissario prefettizio liquida al suddetto legale la somma complessiva di 2898 lire e cinque centesimi, comprensiva dell'onorario e di tutte le spese giudiziarie, "salvo rimborso dal prof. Romano come da sentenza anzidetta". Gli ultimi provvedimenti firmati dal Commissario prefettizio a favore del Real Ginnasio risalgono, rispettivamente, al 1° e al 13 ottobre 1930: il primo contempla la revoca dell'incarico all'ingegnere Ernesto di Palma, il quale dichiara la non disponibilità a redigere un progetto generale e la surroga con l'ingegnere Salvatore Scudieri; la seconda delibera, invece, approvando la rapida redazione del progetto con la spesa di lire 10800, ne affida l'esecuzione dei lavori all'imprenditore Gennaro Visone. Il Preside Prevedello è ancora al suo posto il 6 ottobre 1930, allorché convoca in presidenza i docenti Pietro Cirillo, Donato Ambrosio, Giuseppe Vollaro, Aniello Bifulco, Giuseppe Masella e Pasquale Bonadonna per "prendere accordi preliminari" sull'andamento didattico e disciplinare per il nuovo anno scolastico 1930 - 31, la cui apertura prevede il seguente cerimoniale: a) Riunione delle scuole comunali (classi superiori della scuola industriale e del Ginnasio) nella sala dei balilla, pianterreno dell'edificio, dove il Ginnasio ha sede. b) Addobbo, per l'occasione, della sala. c) Conferenza del prof. Cirillo su Virgilio, preceduta, se sarà del caso, da poche parole di occasione del Preside. d) Corteo di tutte le scuole al monumento dei caduti, ove sarà deposta una corona. Poco dopo, alla notifica ufficiale del congedo in quiescenza per limiti di età, il preside Giocondo Prevedello, nello stilare il bilancio del suo incarico presidenziale, ne affida il messaggio spirituale ai giovani: "Giovinetti carissimi, con amore di padre vi rivolgo la mia ultima parola nel lasciare la presidenza di questo Istituto. Voi siete stati per otto anni la mia cura, il mio pensiero, Dio sa se avrei voluto centuplicarmi per potervii assistere uno per uno come figliuoli. Ho la coscienza tranquilla di aver nulla trascurato che potesse giovare alla formazione della vostra mente e del vostro cuore di Italiani. Vi lascio con l'augurio più ardente, più alto che possiate tutti raggiungere la meta a cui il cuore dei vostri genitori vi accompagna e riuscire quali la Patria vuole i suoi figli. Una sola esortazione vi rivolgo in questo momento: siate buoni, amate il Signore. Nella bontà d'animo e nel timore di Dio troverete tutte le energie a superare gli ostacoli, a vincere le difficoltà, a raggiungere ogni vostro nobile intento. Vi stringo tutti al mio cuore e la memoria di voi si spegnerà in me con l'ultimo anelito della mia vita. Vostro aff.mo per sempre Giocondo Prevedello".
 
Die quarto mensis iunii 1629 in terra Octajani et proprie in platea publica dictae terrae, et petita venia, et previa licentia domini gubernatoris dictae terrae, oretenus nobis concessae..... Congregatis et coadunatis magnificis Simone Bifulco sindico et notaio Joseph Finello eletto et cancellario in presenti anno ad regimen dictae terrae una cum Ioanne Matteo Bifulco, medico Ioanne Francisco Iovino et Iulio de Rinaldo similiter electtis ... et deputatis dictae terrae Felice Bonavita, capitanio Andrea Bocino, Terentio Boccia, Ioseph Iovino, notario Ioanne Dominico Mazza, Cesare Bifulco, ............. et de più se fa intendere alle SS. Vostre come il quondam Scipione Boccia per sua devotione donò alla Università nostra di Ottaiano settanta palmi in quatro de terreno della sua masseria, sita nelle pertinenzie de detta terra di Ottaiano, dove se dice alla via de Striano, con che detta Università ne avesse eretta una ecclesia sotto il nome di San Giuseppe e che fosse ius padronato de detta Università, nel quale vacuo o terreno per li vicini et devoti per causa de nostro Signore Dio ne è stata fatta detta Ecclesia et perché hanno inteso che detto fondo sia de detta Università hanno cessato et cessando di dotarla et augmentarla et hanno fatto istantia che se chiamasse l'Università in pubblico parlamento et determinasse di volerla accettare et dotare o cederla a detti devoti et particolari a fine che se pigliassero questa resoluzione necessaria ..... Et inteso per detti circostanti cittadini et deputati le cose predette, tutti dissero, determinarono et conclusero che detto glorioso Santo Giuseppe sia perpetuo protettore de detta Università et detta ecclesia se pigliasse per jus padronato della detta Università e che l'Università l'assegnasse per dugento docati di dote e che don Giovanni Antonio de Gasparro durante sua vita fosse rettore beneficiato et cappellano de detta venerabile ecclesia, la quale ecclesia se debbia governare per tre maestri laici, li quali maestri se debbiano eligere per li magnifici eletti per pubblico parlamento ogni anno et proprie quelli che haveranno più voce, uno della piazza e che due delli tre maestri debbiano essere dell'istesso quartiere de detta ecclesia e per maestri et eletti dipoi la morte di detto don Giovanni Antonio se debia eligere il cappellano, il quale sia amovibile ad electione di detti magnifici eletti et maestri........
 
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