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Il brigante Crocco si autorappresenta (seconda parte)
Di Admin (del 14/07/2011 @ 22:16:18, in articoli , linkato 820 volte)
E dell’Eroe di Caprera chi potrà mai cancellare il portentoso nome nella storia di questo luminoso secolo, in cui mondialmente propagato echeggia l’inno del suo popolare attaccamento per l’italica autonomia sostenuta col sacrificio di tanti valorosi che traditi dall’usurpatore Savoiardo vanno profughi e raminghi per tutta la terra col veleno nel cuore aspettando impazienti il rombo della controrivoluzione per vendicarsi dei traditori piemontesi? Ah si che il nome di Garibaldi vivrà in eterno nella successione dei secoli, tanto più che non amava l’adesione del Regno delle due Sicilie al Piemonte, di cui ne sa per l’indole usurpatrice dietro ne mosse controrivoluzione e ne fanno incontrastabile testimonianza i fatti d’Aspromonte ove fu schioppettato e ferito a morte per ordine dell’usurpato Savoiardo, che ne tradì le promesse. Tra cotanti rinomatissimi seggi di patrii Eroi qual pubblicista patrio Scrittore sarà così di bassa lega, di corta vista, di labile memoria, di pertinace ritrosia da non annoverare al pro degli altri famosa rinomanza dal nome vittorioso di Carmine Donatello Crocco, che gli continuati di sua impareggiabile bravura col suo positivo coraggio e col guerresco genio dello spirito suo ha riportato per lunga serie di sanguinosi attacchi miracolose imprese su formidabile esercito con pochi inesperti giovani che lo circondavano ovunque? Ah! Si che non è egli degno di essere annoverato tra i veri campioni del patrio valore nella storia odierna sul sempremai legale attaccamento all’italico trionfo. E come no per Dio? Eccone inoppugnabile la verità dei primordiali suoi fatti. Tuonò non appena di Garibaldi l’inno redentore, che al metallico elettrico rimbombo di quei incantevoli seducenti accenti il uso cuore si aprì alla gioia di trionfatrici universali italiche franchigie ed il uso petto fiammeggiò di patrio zelo a segno tale da prestarsi come garibaldino proselito messaggero del Comitato lucano, alto elevando il grido di viva l’Italia, via la cittadina libertà, viva Garibaldi prototipo dell’italico splendore. Per quanto egli poté e valse in quei primieri rivoltosi rincontri non risparmiò sudori e fatiche di qua e di là accendendo ovunque il sacro fuoco della patria rivoluzione e sulla consolare di Auletta facendosi avanti al Dittatore Eroe ne meritò dallo stesso i personali applausi ne seguì le progressive conquiste finché cessato non appena la meridionale dittatura e squarciato il tenebroso velo al Savoiardo tradimento ben si avvide che all’intorno tutto se stesso offerto aveva sull’altare della Patria tradita e che in luogo di franchigia e libertà più servaggio ed oppresso rimaneva dalla piemontese tirannide l’italica contrada del Regno di Napoli, poiché aboliti si furono i dittatoriali decreti e non al più echeggiava l’inno di Garibaldi pel compimento della cominciata grande opera, né tampoco parlavasi di italianizzare i popoli ma invece di piemontizzare il regno delle due Sicilie e renderlo schiavo anziché libero sotto il gioco del savoiardo potere. Vide bene egli fin d’allora che tradito si era stato ingiustamente e spogliato del suo legittimo trono Francesco II e con suo Genio dotato di preveggenza futura scoprì l’idea di usurpazione violenta di spoliazione dei popoli ingannati e previde la deplorabile catastrofe delle sventure che orrendamente annotta il cielo di Napoli oppresso sorriso da prima sotto il più bell’aspetto di paese di ricchezza nel governo dei sempremai religiosissimi Borboni. In tali posizioni di deplorabili sventure non più pensò l’indomabile Genio di Carmine Crocco tenere di mira più oltre la garibaldina bandiera perché sciolti ed avviliti si erano i valorosi volontari e che egli medesimo colpito restava di mandato di arresto dopo tanti sparsi inconsiderati sudori. E che far doveva in così inaspettato tradimento di crudele ingratitudine? A chi mai rivolgere doveva i suoi sanguinolenti sguardi? Le sue fallite speranze di libertà cittadina? A chi rivolgersi nei tumultuosi pensieri d’inganno inaudito nell’istoria dei tempi andati? A chi finalmente dedicare e consacrare il valore il coraggio del Suo conculcato spirito fremente di loro dovutagli vendetta? Lo giudica chi ha fior di senno razionale patrio, lo giudica chi sente di onor personale di propria stima, lo giudica pure il repubblicano ardente, lo giudica chi ne ammira i suoi fatti compiuti, lo giudica ben giudicar lo saprà fra non guari d’Italia il prossimo istorico destino.