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Di Admin (del 23/06/2014 @ 21:30:51, in articoli, linkato 901 volte)
Il demanio terzignese prorompe con forza al centro della vita politica, domenica 27 luglio 1783, alle ore undici, nella pubblica piazza, ove si tiene la seduta del Parlamento locale per la convenzione da stipularsi con il principe Giuseppe de' Medici, rappresentato dall'avvocato Nicola Maria Vespoli, circa le terre del Mauro e dei Muscettoli. Presiedono il governatore Giacomo Salamiti, gli Eletti Stefano Pascale, Pietro d'Avino e Giuseppe Iovino. I lavori dell’assemblea sono introdotti con la lettura di una relazione circostanziata sull'argomento da parte degli Eletti, che ne ripercorrono a ritroso le radici ataviche. La premessa si chiude con la proposta di porre fine al dissidio con la controparte mediante un accordo, incentrato sulla definitiva divisione a metà dei due demani: esso avrebbe il vantaggio di permettere un ulteriore dispendio di risorse pubbliche in spese giudiziarie. L’unanimità dei consensi dei presenti su tutto il pacchetto demaniale confluisce nella deliberazione finale, la quale sancisce la divisione a metà del demanio: la parte settentrionale a favore dell'Università, quella meridionale a favore del barone. Per la ripartizione, di comune accordo, la scelta cade sull'ingegnere Domenico di Franco, prontamente accorso in loco. Le sue misure, pari a 1058 moggia, rettificano quelle precedenti, che registravano 1583 moggia. In base all'accordo testé concluso, cinquecentoventinove moggia vengono assegnate a ciascuna delle due parti, ognuna delle quali cede cinque palmi di terreno per permettere la costruzione di una strada intermedia fra i due confini. Quindi l'ingegnere si sposta nella parte superiore della strada che porta a Torre, ove rinviene altre due porzioni di terreno da dividere. Seguendo lo stesso criterio di prima, egli divide Le Logge in due parti eguali, ognuna delle quali misura novantasei moggia e cinque quarte, delimitate da un termine di piperno, all'inizio e alla fine. Soggiace alla stessa regola la seconda parte di terreno, della estensione complessiva di tredici moggia, una quarta e due none. In comunione rimangono sia il luogo coperto dalle lave del Vesuvio sia due piccoli boschi. Infine l'ingegnere divide a metà i Muscettoli, la cui estensione misura duecentottanta moggia, cinque quarte e otto none, separandone le rispettive divisioni con termini di piperno. Trova anche una soluzione alla presenza di molte strade, aperte, arbitrariamente, dai vicini possessori: quelle, riscontrate nella zona assegnata all'Università, vengono abolite, mentre il Principe si sarebbe impegnato a tenerne aperte due o tre per permettere la comunicazione alle vie di Poggiomarino e Dente dei Cani con quella che conduce a Ottajano. Il Parlamento approva l'accordo e affida all'avvocato Nicola Doccilli il compito di ottenerne l'approvazione superiore. Costituiscono una notevole battuta d’arresto l’immediata occupazione della zona settentrionale demaniale da parte del principe, nonché il decreto del marchese Sambuca del 22 settembre 1783, lesivo degli interessi collettivi, in quanto esso prescrive forti vincoli alla coltivazione per una parte pianeggiante dei Passanti, considerata riserva reale per la caccia delle quaglie, e per tutto il territorio sovrastante la via Ottajano – Torre Annunziata. A questo punto gli Eletti del 1784, Gaetano Murolo, Saverio Pagano, Donato Boccia e Aniello del Giudice, che hanno partecipato alla stesura dell'accordo, cambiano opinione: inoltrano un'istanza di segno opposto al Sacro Consiglio e attaccano la convenzione, affermando non solo che, in linea di principio, i corpi Mauro e Muscettoli appartengono del tutto all'Università, ma anche, nello specifico, che la parte assegnata all'Università è di gran lunga inferiore a quella attribuita al principe, sia per la quantità che per la qualità dei terreni. Le loro forti rimostranze non trovano calorosi ed entusiastici consensi presso gli avvocati comunali, Michele Barra e Nicola Ercolino, artefici della predetta transazione, per cui la loro pronta sostituzione con Giuseppe Perrotta costituisce un argine invalicabile per l’avallo superiore della divisione demaniale, contestata nelle modalità e nella sostanza. Tutto ciò induce a riattivare l'iter già percorso: convocazione di un altro Parlamento e invio di un altro "tabulario" Nino Malena, presente in loco, il 30 luglio 1784, ove viene accolto dagli Eletti, dal rappresentante del Principe e da due esperti. Il nuovo tecnico inizia a rimisurare, dapprima, il Mauro, identificandone i confini: a occidente, la strada che porta a Torre, ad oriente, la strada pubblica che conduce all'osteria dei Passanti, a mezzogiorno la Masseria del Barone di Massa, a settentrione la lava del Vesuvio e la Masseria di Santa Teresa. Quindi procede a qualche rettifica divisoria rispetto a quanto operato dal collega che l'ha preceduto. Infine, appone solo qualche rilievo di lieve entità sulla ripartizione dei Muscettoli, dettagliatamente riportato nella pianta e descritto nella sua successiva relazione ufficiale. Nemmeno la nuova ripartizione soddisfa la base sociale, la quale, convinta di essere stata penalizzata ancora una volta dal suo avversario, offre incandescente materiale ai ricorsi stilati dall’intrepido avvocato Giuseppe Perrotta, fondati su di una motivazione di fondo oltranzista: i demani Mauro e Muscettoli sono stati sempre di proprietà pubblica, per cui tutti i diritti, pretesi dal barone, risultano arbitrari, in quanto non suffragati da alcun documento probante. Le ostilità giudiziarie nel comparto demaniale compiono il loro corso e si concludono con il forzato avvento in loco, nella seconda parte del 1786, di un altro ripartitore, Gaetano Volpicelli, disposto su ordine del Sacro Consiglio. Il nuovo tecnico conferma i sospetti dei ricorrenti, finalmente lieti: viene delimitata la parte demaniale assegnata al principe, costretto a cedere alla nostra comunità circa ottanta moggia di terreno del Mauro, fatta salva la distribuzione dei Muscettoli, ritenuta congrua, come si evince dalla sua relazione, datata 24 marzo 1787. Il contrattacco del barone, sfociato nel conseguente ricorso, produce l’invio di un altro ripartitore, Grimario, il quale, stranamente, non porta a termine il compito assegnatogli. A questo punto riprende pieno vigore la relazione di Gaetano Volpicelli: essa, però, non riceve l’approvazione superiore (L.Iroso, Terzigno, in Dizionario - Repertorio della provincia di Napoli, a cura di Guido D'Agostino, Paparo Edizioni 2007).
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Di Admin (del 19/06/2014 @ 21:41:25, in articoli, linkato 601 volte)
17 GIUGNO 1883: qui ( a Diamante) siamo angustiati pel cattivo tempo, il quale ci fa perdere l’intero ricolto e minaccia anche la vendemmia, onde procacciamo il nostro vino generoso, uno dei migliori vini d’Italia, che va sotto il nome di vino di Diamante. E’ un lutto generale! Il giorno 17 il temporale fu così veemente e precipitoso, che i fiumi ingrossarono ed uscirono con impeto dai loro letti. Quello di Diamante sorpassò il ponte e lo spezzò; si fece strada nella spiaggia detto lo Scavio con tale furia, che le barche pescherecce furono salve per il coraggio dei nostri marinari, in presenza di buona parte di questa popolazione accorsa allo spettacolo straordinario. I giardini circostanti furono quasi distrutti: granone, fagioli, ortaggi sepolti nella melma. Il fiume di Cirella ha prodotto altri guai. Ha distrutto due mulini, uno di Grisolia e l’altra di Majerà con la perdita di 25 persone tra uomini e donne, che si erano colà coverti nel fango delle terre innaffiatorie di Cirella ed altri caduti nelle acque marine sembrava il finimondo. Spettacolo simile non si era mai visto. Sono corse sopra luogo le autorità competenti, facendo dissotterrare i cadaveri. Una guardia di finanza n’è rimasta ferita. Altri danni sono stati cagionati dalla grossa fiumana di Abatemarco. Le legna trasportate dalle acque sono scese dall’alto dei monti. Nella spiaggia Torrebruca furono sommersi i depositi di legname e le casette del guardiano. Le uve passe sono stata quasi tutte distrutte e i fichi sono andati perduti. La tartana San Vincenzo, che si trovava alla bruca per il caricamento del legname, fu da una raffica di tempestoso vento distaccata dall'ancora e gettata di fianco su quella rada, sicché aprissi in più pezzi che andarono dispersi nel mare ed alcuni furono raccolti sulle spiagge dalla diligenza delle guardie finanziarie. A stento si poté salvare l’equipaggio. Il ricolto di Diamante andrà quasi perduto. Molti sono rovinati. Alcuni attribuiscono l’ingrossamento dei fiumi al continuo disboscamento ed all'incessante commercio e traffico di legname, che da molti anni si pratica in questi luoghi. Certo, che è stato un avvenimento infausto e fatale e che il governo dovrebbe tenere conto di tanti infortuni e disgrazie.
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