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Di Admin (del 11/08/2010 @ 16:33:26, in articoli, linkato 679 volte)
1705. La fedelissima città della Cava supplicando espone a V. E. come da più di centinaia di anni si ritrova introdotta in essa città l’arte della seta in fabbricare ogni sorta di drappi e tingere ogni sorte di colori ed in particolare il nero, che è l’unico sostentamento dei suoi poveri cittadini, li quali sempre sono stati nel possesso di lavorare detti drappi e fare dette tende, conforme al presente si ritrovano. E come li odierni Consoli dell’arte della seta di questa città per alcuni loro caprici e fini particolari, sapendo che questi al numero di dieci o dodici devono portare le loro mercanzie dei drappi ascendentino a ducati ottantamila e più nelle fiere di Barletta, che si fa alli 11 del corrente mese di novembre, e in quella di Bari, che si fa alli sei dell’entrante mese di dicembre, minacciano di voler sequestrare detti drappi e mercanzie, supponendo stessero soggetti alla loro giurisdizione contro ogni dovere e ragione, cum reverentia. E perché l’arte della seta in detta città di Cava, da che si è introdotta, è stata indipendente da quella di questa Città, e loro consoli, conforme in altre città del Regno, e non potendo detti mercanti portare le loro mercanzie dei drappi ed altro, conforme al solito, in dette fiere, acciò del prezzo di esse potessero soddisfare li dovuti pagamenti maturati in dette fiere ai loro creditori, che sono mercanti in detta città della Cava, ed in questa di Napoli, porterebbero gran pericolo di fallire non meno essi che li loro mercanti creditori, e sarebbe la totale rovina di detta città della Cava e questa di Napoli per la comunicativa del negozio. Per ciò supplica V. E. di ordinare che si osservi il solito e che li detti mercanti per li con saputi drappi che devono portare in dette fiere non siano molestati da detti Consoli o altri, a fine di evitarsi le rovine di dette città e di tanti loro mercanti per detti pagamenti, mentre giovedì venturo cinque del corrente devono partire per dette fiere e l’osservanza di ciò commettersi alle Regie udienze di Montefuscoli e Trani in solidum che così osservino e facciano osservare ut Deus.
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Di Admin (del 09/08/2010 @ 17:19:50, in articoli, linkato 6337 volte)
All'indomani della visita pastorale, effettuata, il 1739, nel feudo di Ottajano, il vescovo di Nola, mons. Troiano Caracciolo del Sole, non riesce a dimenticare l'eco assordante delle bestemmie e delle "canzoni blasfeme", nonché i segni marcati dell'ignoranza estrema di donne e bambini, indici speculari del degrado morale e sociale, vigente nel territorio di Terzigno.Onde risollevare l'ambiente, almeno, in termini di religiosità, egli affida, l'anno successivo, a cinque padri missionari della Congregazione della Casa della Solitudine di San Pietro a Cesarano l'incarico di svolgere colà una missione. I frutti spirituali della suddetta catechesi risultano immediati e salutari al punto che la popolazione terzignese manifesta l'esigenza insopprimibile di edificare in loco una chiesa, data la difficoltà logistica ed operativa a raggiungere quella più vicina di San Giuseppe, distante tre chilometri e, per giunta, oberata dal gravoso onere di attendere alla cura spirituale di ben simila anime, disperse nell'immensa "Campagna. Su siffatta legittima intenzione, però, si abbatte subito il veto incrociato del potere ecclesiastico e politico ottajanese, il quale, intravedendovi i pericolosi germi della nascita di una nuova identità cittadina, foriera di una futura disgregazione territoriale, è più che mai deciso a mettere in campo tutte le strategie ostative idonee, in modo da continuare a gestire in maniera verticistica ed "entro terra" anche la religione. Concorre ad ingrossare il coro della opposizione frontale anche la voce dei frati francescani del convento di San Gennaro di Palma, allarmati ad arte dal preoccupante assottigliamento del loro abituale bacino di utenza donde attingere le elemosine. La successiva visita pastorale, compiuta dal vescovo in persona, contribuisce a sbloccare d'autorità l'attuale impasse, giudicato surrettizio e privo di reale consistenza motivazionale, come dimostra, in maniera palmare ed inequivocabile, la fervida ed affettuosa ospitalità a lui riservata dallo stesso agente generale del Principe di Ottajano nella sua "casa di campagna". Le immediate consequenze del vittorioso intervento vescovile si avvertono il 16 maggio 1740, allorché operano con lena instancabile due missionari del suddetto ordine, don Angelo Bianco e don Agnello Cirillo, con un "fraticello laico", i quali utilizzano, provvisoriamente, un appannaggio di cento ducati e la piccola chiesa "privata" locale di San Francesco, "non più lunga che sedici palmi, larga dodici, e poco alta". La loro opera preziosa si estrinseca non solo nella calda ed eloquente diffusione del vangelo, accolto con entusiasmo gioioso da una folla sempre più straripante di fedeli, molti dei quali, non riuscendo a trovare posto nella chiesetta stracolma, si accontentano di sentirne la voce sotto una contigua "gran capanna di legno", costruita alla buona da alcuni volontari, ma anche dall'assistenza amorevole al capezzale di "infermi e moribondi", per il cui sollievo i religiosi percorrono "notte e giorno tre o quattro miglia per volta or in una parte or in un'altra". I ritmi incessanti di lavoro intenso spossano la gracile fibra fisica di don Agnello Cirillo il quale, colpito da "un fiero catarro di petto, è richiamato dai superiori in convento...... A questo punto lo scatto di orgoglio del vescovo di Nola, femo nel suo proposito di realizzare la costruzione della chiesa e della dimora per i missionari, porta alla ribalta della trattativa d'acquisto, avviata nei primi giorni del mese di gennaio 1742, dal procuratore Antonio Giuseppe de Luise, la proprietà terriera di Agostino Catapano, ubicata ai cosiddetti Catapani di Terzigno e pignorata dai creditori dall'anno 1662. La fase preliminare contempla la ridefinizione completa del bene in oggetto, eseguita, su disposizione del giudice Onofrio Scassa, dal "tavolario" del Sacro Regio Consiglio, Francesco Attanasio, con l'assistenza degli esperti di campagna locali, Giuseppe Carillo e Nicola Bifulco. La conseguente relazione, stilata il 6 aprile 1742, rettifica i dati catastali antecedenti, approntati dall'ingegnere Carlo Pepe e immessi nelle sue due perizie tecniche, datate, rispettivamente, 10 novembre 1671 e 8 luglio 1679. Sulla scorta del nuovo computo la distesa di terreno riacquista una sua precisa confinazione: a ponente la strada Ottajano - Scafati; a tramontana la strada vicinale, che "dalla strada pubblica conduce nei territori situati nella parte inferiore"; a levante i terreni di Carmine Minichino e di Aniello d'Arpaia; a mezzogiorno i terreni dei padri Camaldolesi del Sacro Eremo di Nola, nettamente delimitati dal lungo filare di "antichi piedi di cerque, lasciati anno per anno in tempo di puta, a capo di monaco".... ((Estratto dal libro di Luigi Iroso, Album di famiglia, Quaderni campani, San Giuseppe Vesuviano, 2003)).
Articolo (p)Link Commenti Commenti (2)  Storico Storico  Stampa Stampa
 
Di Admin (del 09/08/2010 @ 17:07:36, in articoli, linkato 3937 volte)
Le origini del nostro Ginnasio - Liceo "A. Diaz" vanno ricercate nell'ultima parte dell'Ottocento, allorquando la nostra popolazione esprime l'ansia di una maggiore istruzione, tale da ampliare i saperi elementari. Ancora una volta la risposta viene dal mondo ecclesiastico il quale, allargando la sua presenza, già predominante ed esclusiva nella scuola di base, gioca un ruolo decisivo anche nel comparto scolastico superiore. Tende in questa direzione l'istanza avanzata dal canonico don Domenico Alfano il quale è deciso ad aprire ad Ottajano un convitto educativo privato, utilizzando le strutture dell'ex convento del Rosario, un tempo sede dei Perpetui Adoratori. La delibera comunale, stilata il 12 settembre 1876, esprime parere positivo alla concessione per venti anni dello stabile chiesto, ad eccezione della chiesa e di alcuni locali, riservati al rettore, al sagrestano e alla Congregazione di Carità. La Deputazione provinciale, intervenendo nel merito, il 21 marzo 1877, convalida l'approvazione comunale, anche se prescrive qualche rettifica sostanziale circa l'indirizzo metodologico ed il nome proposto, Vergine Immacolata: 1) Doversi mutare nome ....; 2) Doversi seguire nelle scuole i programmi governativi; 3) Doversi gli insegnanti sottoporsi al giudizio della commissione provinciale. Le osservazioni provinciali rispondono al rispetto di fondo della laicità statale: "Le cose sacre non vogliono mescolarsi con le profane". Sull'accettazione integrale di tutto il capitolato di appalto e dei suddetti rilievi imposti dalle autorità superiori procede il canonico Alfano che, nel frattempo, ha dato il suo nome alla nuova realtà scolastica, di cui egli diventa direttore. Nel contempo si mette in moto la macchina della propaganda, in cui si inserisce la circolazione di un libretto a stampa che annuncia, tra l'altro, l'apertura del nuovo convitto il 1° maggio 1877. Estrapolando qualche riga del manifesto apprendiamo che l'insegnamento riguarda le seguenti discipline: catechismo, lingua italiana, latina e greca, aritmetica, storia, geografia e calligrafia. A latere di queste, possono essere impartite "lezioni straordinarie", dietro compenso aggiuntivo, di musica, disegno, lingua francese e declamazione. La cerimonia della inaugurazione del convitto Alfano avviene nella prima parte di giugno del 1877, alla presenza di una folta platea giovanile, proveniente da Napoli e da Portici, plaudente alle orazioni del sindaco Luigi Casotti e del vescovo di Nola, mons. Giuseppe Formisano. Gli anni immediatamente successivi segnano un vero e proprio successo per il convitto, ove si registra, addirittura, la presenza massima di quaranta convittori. Il cambio del trend ascensionale, avvenuto il 1882, preoccupa le autorità comunali, decise a comprendere la genesi del fenomeno negativo. Risulta chiara in proposito la relazione, letta nella seduta di consiglio comunale, il 14 novembre 1882, dall'avvocato Angelo d'Ambrosio, presidente della commissione, di cui fanno parte i consiglieri comunali Pasquale Bifulco, Giuseppe Pappalardo e Francesco Saviano. A giudizo del relatore, molteplici sono le cause dell'attuale stato di impasse del convitto: in primo luogo l'aumento della tassa mensile, passata da trenta a trentacinque lire; in secondo luogo, la scarsa qualità del vitto; infine, l'inadeguata qualità dell'insegnamento: "Manca ogni maestro didattico e si disconoscono tutte le regole della moderna pedagogia. La maggior parte del tempo viene ivi occupata in pratiche religiose a discapito della vera istruzione". Peggiora la situazione l'amara riflessione del duca di Miranda, Michele de' Medici, sulla presunta preparazione degli alunni, mostrata durante gli ultimi esami:"... non si faceva dire una parola sola agli alunni della nostra patria di sacrifici sostenuti dalla patria per renderla una e indipendente ..... I maestri scarsi di numero, scarsamente retribuiti, non idonei all'insegnamento". L'approvazione della relazione da parte della maggioranza dei consiglieri comporta la chiusura del convitto per un anno. Seguono molti tentativi protesi a ridare slancio alla riapertura dei battenti dell'istituzione scolastica: in tale direzione mirano gli interventi di alcuni canonici, tra i quali si distinguono, dapprima, don Pietro Sparanise, quindi don Pasquale De Gennaro il quale, nel 1887, trasporta nei locali del Rosario il convitto Casanova, infine, don Francesco Mascia. Quest'ultimo, con lettera datata 10 ottobre 1895, chiede la modifica di alcune clausole incluse nel capitolato già sottoscritto, tra cui 1) Inversione delle somme stabilite per gli utensili di cucina e per gli attrezzi ginnastici; 2) Portare la tassa scolastica per gli esterni da lire tre a lire cinque mensili; 3) L'uso della seconda scala sita al pianterreno, adibita finora per la 1° classe eleemntare nell'altra più ampia, che è la 4° e fu adibita nel 1° e gran parte del 2° anno scolastico per refettorio .... 4) Condono, per i primi cinque anni delle cento lire che sono obbligato a pagare per l'uso del locale concesso. Tutto ciò è finalizzato, a parere dello scrivente, al buon esito della ispezione, propedeutica al "pareggiamento delle scuole ginnasiali". Quattro giorni dopo, il consiglio comunale vi appone il suggello dell'approvazione. La questione del "pareggiamento" ritorna, in maniera preponderante, il 3 marzo 1896, allorché il consiglio comunale, presieduto dal sindaco Luigi Scudieri, avvia l'iter, di durata biennale, per il pareggiamento del ginnasio e, nell'immediato, chiede al Ministero dell'Istruzione Pubblica il riconoscimento legale degli esami, tenuti in sede, per i soli iscritti alla quinta ginnasiale, subordinandone l'approvazione ad una eventuale ispezione ministeriale. La richiesta comunale, articolata nelle motivazioni didattiche, incentrate sulla superiorità dell'insegnamento "governativo" rispetto a quello privato, contiene, nel corpo del documento, richiami ad analoghe concessioni, elargite ad altre istituzioni scolastiche che versano nelle stesse condizioni, come il seminario di Nola. L'istanza, accolta favorevolmente dalle autorità ministeriali grazie all'interessamento del deputato del nostro collegio elettorale Domenico Zainy, è vincolata al rispetto delle seguenti tre condizioni: composizione della commissione esaminatrice, indennità ai commissari e pagamento della relativa tassa. La giunta municipale, il 16 maggio 1896, non solo accetta tutte le condizioni del provvedimento ministeriale, ma ne chiede la proroga anche per l'anno successivo. Lungo tali direttive ondivaghe si spengono gli ultimi battiti del secolo diciannovesimo e si sostanzia il primo segmento del secolo successivo, allorché l'ardore patriottico di molti giovani, formatisi sui banchi del nostro Ginnasio, si traduce nel sacrificio estremo della loro vita durante il primo conflitto mondiale. La riproposizione delle loro generalità, poste, in particolare evidenza, a conclusione di questo articolo, è un piccolo segno dell'ardore e della memoria perenni con cui li onoriamo, perché essi costituiscono gli esempi paradigmatici della nostra grande famiglia liceale. Allorquando si spengono definitivamente i fuochi bellici, vien completata la più feconda attività burocratica a favore del nostro Ginnasio. Infatti, è davvero un atto di fede quello che spinge l'amministrazione comunale ottavianese ad attivare con il Ministero della Pubblica Istruzione nel primo ventennio del Novecento, un complesso iter burocratico, proiettato a sottrarre la gestione del ginnasio locale dalle mani private del comm. Alfonso Chierchia, direttore del locale convitto, e a consegnarlo libero alla collettività. Questa idea, affascinante e ambiziosa, poggia sui valori forti della cultura classica, la quale fa passare in secondo piano anche il consapevole impegno ad erogare dalle casse pubbliche i relativi contributi economici, destinati ad inverarne l'essenza. Per questo motivo condividiamo in pieno la gioia del sindaco Adamo Scudieri il quale, nella seduta consiliare del 2 dicembre 1921, alla presenza dei consiglieri Achille Mazza, Pasquale Iervolino, Luigi Annunziata, Luigi Scudieri fu Raffaele, Angelo Annunziata, Giuseppe Boccia, Giuseppe Giordano, Domenico Arpaia, Salvatore Franzese e Giuseppe Pascale, annuncia al paese la felice conclusione di quel progetto, in virtù del quale, dall'anno scolastico 1921 - 22, inizia la vita statale del Regio Ginnasio "G. Leopardi", ubicato nell'edificio comunale del Rosario. La "regolare convenzione", incentrata sulla istituzione ginnasiale "senza verun pagamento" e sulla fornitura da parte del Comune di Ottaviano di "locali, acqua,luce, arredamento, libri, materiale scientifico, segretario e bidello", viene accettata con tutte le sue condizioni dal Consiglio, che provvede subito a ratificare, a scrutinio segreto, anche la nomina del prof. Donato Ambrosio quale annuale segretario provvisorio dell'istituto scolastico "con l'assegno di lire 800". Il primo anno di vita registra entusiasmo e vivacità culturali, che si concretizzano nella frequenza di molti alunni, ventitré in quarta ginnasiale e dieci in quinta, il maggior numero dei quali proviene dalle diverse zone del circondario, sotto la direzione coordinatrice del prof. Pasquale Ardito. L'attività didattica, che si svolge in tre trimestri, verte sullo studio di italiano, latino, greco, francese, storia, geografia, matematica, storia naturale ed educazione fisica. Le prime quattro discipline si dividono in una parte scritta ed in una orale. Tali impegni non allontanano la ilarità sonora dalle labbra dei giovani, la cui eco si coglie non solo tra le volte del corridoio, ma, in qualche caso, anche tra le pareti della classe. Puntuale giunge il rapporto dell'insegnante a carico dell'alunno colto in flagranza di colpa: "Punito con quattro in condotta al secondo trimestre". Anche in questo caso l'irrogazione della punizione non è preclusiva, se viene riscattata dall'interessato con intensità di dedizione e di resa culturali. Infatti, lo scrutinio finale offre tre risultanze, espresse nei tre termini burocratici del tempo: dispensato, ammesso o escluso. Nella prima tipologia rientra l'alunno che, avendo riportato, nello scrutinio finale, una votazione superiore a sei, viene promosso alla classe successiva; nella seconda, invece, è annoverato colui che, essendo stato scrutinato con una classificazione finale, alterna di sufficienze e di insufficienze, deve conquistare la promozione alla quinta ginnasiale, sostenendo positivamente le prove d'esame a luglio, o, in subordine, a ottobre; nella terza, infine, viene incluso l'alunno giudicato non idoneo a frequentare la classe seguente. Lo stesso iter didattico riguarda anche gli alunni della quinta ginnasiale. Gli esami, che si svolgono con una commissione interna, vedono i discenti ginnasiali impegnati a conferire su tutti i programmi scritti, che prevedono, rispettivamente, una traduzione dal latino in italiano, una seconda dall'italiano in latino, una terza dal greco in italiano ed una quarta dal francese in italiano. Ognuna di queste ha valore a se stante, nel senso che l'eventuale insuccesso, riportato in una prova scritta nella prima sessione, comporta il suo rifacimento nella sessione autunnale. Durante le prove vale lo spirito di concentrazione fattiva dell'alunno, per il quale il giudizio di ammissione ha soltanto la funzione di presentazione non vincolante. Le esigue tasse di frequenza a carico degli alunni di quarta ginnasiale si dividono in quattro rate, ognuna delle quali è di trentotto lire e ottantacinque centesimi, pagabili, rispettivamente, nei mesi di ottobre, gennaio, febbraio e maggio. Invece, per quelli di quinta, alle suddette rate se ne aggiungono altre due, una di ottantacinque lire e dieci centesimi per la licenza, un'altra di otto lire e dieci centesimi per il diploma. E' prevista anche la dispensa dalle tasse a favore degli alunni meritevoli e indigenti dietro deliberazione del consiglio dei docenti. Il primo anno si conclude positivamente, anche se, il 31 agosto 1922, il segretario scolastico rassegna le sue dimissioni dall'incarico e le trasmette al Sindaco, corredate da opportune motivazioni. Esse non offrono particolari difficoltà alla seduta consiliare del 21 settembre successivo: viene salutato il titolare della segreteria ginnasiale, accompagnato da un encomio solenne, tributatogli, su proposta del consigliere don Biagio Ambrosio, "per la solerzia ed intelligenza addimostrati nell'esercizio delle funzioni di segretario del Regio Ginnasio". L'occasione è propizia per ascrivere lo stipendio della bidella, che ascende a 720 lire, in un articolo specifico del bilancio comunale, "essendosi finora provveduto al pagamento mediante storno di fondi, per mancanza di apposito stanziamento". Il secondo anno, invece, si apre all'insegna di gravi difficoltà. Infatti, la vigilia è segnata dalla morte prematura del preside Pasquale Ardito, stroncato a soli quarantotto anni da un attacco cardiaco. Ci duole di non aver rinvenuto nei documenti ufficiali alcuna traccia dell'operato e della personalità del primo preside del nostro Ginnasio, tranne la foto riprodotta, gentilmente fornitaci dalla nipote, prof. ssa Rosa Maria Ardito. La fulminea scomparsa attiva il corso della successione presidenziale, che viene conferita al prof. Giocondo Precedello il quale è, nel contempo, anche insegnante di lettere al ginnasio. Ma le maggiori preoccupazioni si rivelano nel prosieguo dell'anno, allorché affiorano in superficie i contraccolpi violenti di quanti, all'esterno, non sopportano la nuova realtà culturale e tramano in silenzio, all'insaputa dei sedici alunni di quarta ginnasiale e dei quindici di quinta, i quali sono immersi nei loro doveri scolastici. Eppure la vita interna dell'istituto scorre all'insegna della produttività intellettuale, stimolata dall'operato proficuo dei docenti Mezza, Vollaro, Lombardo, Lezzi e Annunziata, pronti ad assolvere il loro mandato istituzionale con dedizione completa, nonché a mostrare il loro viso duro solo quando qualche alunno non rispetti le norme di buon comportamento. In realtà l'intervento disciplinare non è una costante, né un fenomeno a largo raggio, ma è circoscritto a qualche sparuto e isolato caso, esploso più per improvvisa ed eccessiva vivacità che per scostumatezza comportamentale di fondo, dal momento che l'alunno colto in flagrante si segnala per profondità culturale. Ciò non frena il prof. Lombardo dal prendere sul conto dell'interessato un drastico provvedimento, proporzionato alla gravità della colpa e trascritto sul registro generale: "Punito con giorni venti di sospensione dalle lezioni (22 febbraio - 13 marzo) e con l'assegnazione di cinque in condotta come media del secondo trimestre per sparo di rivoltella in classe". Per il resto l'ambiente scolastico risulta sereno ed operativo. Tale operatività non vale ad attutire la voce ostile esterna, la quale si ingrossa maggiormente in occasione dell'avvento della comunicazione n° 5627, stilata sulla scia del Regio Decreto n° 685 del 14 aprile 1923 e trasmessa dal Regio Provveditorato agli Studi di Napoli, il 19 aprile, alle autorità comunali. All'uopo viene convocata, il 27 maggio 1923, la seduta consiliare, in cui il sindaco Adamo Scudieri comunica le dure disposizioni governative, le quali, dichiarando facoltativa la istituzione ginnasiale, ne subordinano la sopravvivenza "all'accettazione da parte di questa Amministrazione dell'obbligo di corrispondere allo Stato, per il suo mantenimento, a decorrere dal 1° ottobre 1923, il contributo finanziario di lire 2500 ed all'accettazione degli altri oneri che già sostiene". Il Consiglio ne prende atto e, deciso a non deflettere dalla nobile istituzione messa in piedi, si riserva di dare una risposta adeguata alle autorità superiori, dopo aver studiato e risolto le enormi complessità strutturali. L'ostinazione politica ottavianese a resistere ad oltranza deriva dal fatto che vi vede in gioco il prestigio stesso della cittadinanza, la quale vanta la primogenitura dell'iniziativa in tutta la nostra fascia provinciale, compresa la città di Nola, il cui ginnasio risulta ancora pareggiato. Tocca al sindaco Pasquale Cola comunicare al consesso comunale, l'11 maggio 1924, la felice risoluzione del problema. Dopo un attento esame dell'intricata questione, analizzata nelle sue intime pieghe grazie all'apporto delle "informazioni avutesi con l'intendenza di Finanza", egli fissa la relativa tabella contributiva comunale a favore dello Stato, graduata nelle cifre sino al tetto massimo delle 2500 lire nei termini seguenti: Per l'esercizio 1923-24: lire 9375,00; per l'esercizio 1924-25: lire 14843,75; per l'esercizio 1925-26: lire 17968,75; per l'esercizio 1926-27: lire 21093,75; per l'esercizio 1927-28: lire 25000,00. Le rispettive somme vengono drenate dal fondo "dazio consumo" e riscosse in due rate uguali: una entro il 15 maggio, l'altra entro il 30 giugno. L'anno successivo il suddetto piano finanziario viene rimandato al mittente dalla Finanza, la quale ne lamenta la precarietà del "cespite dato in riscossione senza obbligo del non riscosso per riscosso". A siffatto rilievo si ovvia facilmente il 2 aprile 1925, allorché il Consiglio comunale, presieduto dal sindaco Pasquale Cola, offrendo le debite delucidazioni, ne sposta la fonte "sul provento del fuocatico". Intanto i marcati segni del tempo aprono squarci paurosi nel cuore dell'edificio scolastico, messo a dura prova, in ordine successivo, dall'eruzione del Vesuvio del 1906 e dai danni della grande guerra, durante la quale i suoi locali hanno offerto l'alloggio "ad un distaccamento del 31° fanteria e ad un reparto di prigionieri austriaci". La sua precarietà statica, visibile, soprattutto, nei lastrici e nei tetti, preoccupa molto l'amministrazione comunale, impossibilitata ad intervenire nel merito, data la mancanza assoluta di ulteriori fondi. Ancora una volta, però, prevale la fantasia politica la quale, escogitando un piano alternativo, si apre al sociale, stimolando "l'idea di adibire tale edificio a convitto, ove già precedentemente vi era allogato e con vita prosperosa". Non si tratta di un passo indietro, sebbene di un audace gesto di connubio tra pubblico e privato, al fine di superare le difficoltà contingenti del momento, anche perché le iscrizioni al Ginnasio nostrano registrano un treoccupante trend negativo, ridotto ad una decina di alunni per classe negli anni scolastici 1924-25 e 1925-26. Rispondono all'appello nominale due offerte: una è del prof. Cesare Tropea, l'altra dei proff Alfonso Chierchia e Fulgenzio Mascia. Questi ultimi, avanzando proposte più convenienti per gli interessi comunali, si aggiudicano la regolare gara d'appalto e ne accettano il relativo capitolato, mirato a concedere una boccata di ossigeno all'amministrazione comunale mediante l'utilizzo di denaro fresco dei privati, messo in circolazione a vantaggio della collettività. I volti dei consiglieri risultano più distesi il 12 luglio 1925, allorché ascoltano dalle labbra del sindaco Pasquale Cola le condizioni accettate dai nuovi concessionari, i quali sono disposti non solo a pagare alle casse comunali la pigione di seimila lire annuali, ma anche a farsi carico delle riparazioni all'edificio, nell'arco di un triennio, soddisfacendo, a spese personali, la somma preventiva di 64350, secondo l'annesso progetto elaborato dall'ing. Pecoraro. Nel contempo la Giunta comunale si adopera in tutti i modi a favorire ogni iniziativa che possa incrementare la platea scolastica del Ginnasio, allargando il suo bacino di utenza anche nei paesi viciniori. In tale ottica va letta la richiesta, sollecitata anche dalla stampa napoletana e inviata, il 29 ottobre 1925, al dirigente della Società SS. FF. MM. SS. cav. ing. Vanzi, affinché la corsa ferroviaria mattutina che, partendo da Napoli si conclude alle ore 7,40 a Somma Vesuviana, prosegua fino a San Giuseppe Vesuviano. L'attuale stallo della nostra linea ferroviaria, se confrontata con quella più agile di Pompei, dotata di "un numero maggiore di corse con materiale scelto e con treni celeri", trasforma il sospetto in verità di fondo: a nulla ci è servita la sua trasformazione in trazione elettrica. Senza voler indugiare in una sterile polemica campanilistica, il documento si sofferma a mettere in luce l'importanza della cittadina ottavianese, punto nodale di attività commerciali ed industriali, nonché sede della Pretura, dell'Ufficio del registro e dell'unica scuola statale completa lungo l'asse Napoli-Ottaviano-Sarno. L'impellente penuria delle risorse pubbliche, devolute, per lo più a riparare i guasti prodotti alla cittadinanza dai tremendi eventi naturali, come le ferite belliche o le cicliche alluvioni, non fa scivolare dal petto delle autorità comunali le necessità culturali, ma ne aguzza, in maniera insolita, l'ingegno, proteso, persino, a battere sentieri inesplorati. Esemplare risulta in proposito la richiesta inoltrata, il 7 gennaio 1926, all'amministrazione provinciale, tendente ad ottenere "un equo sussidio quale concorso al mantenimento del R. Ginnasio". Certamente non è messa affatto in discussione l'erogazione di piccole cifre, destinate alla normale amministrazione della Scuola. Di ciò è pienamente convinto lo stesso preside, prof. Giocondo Prevedello. Egli, dietro accordo verbale con il sindaco Pasquale Cola, non ha bisogno di attendere l'autorizzazione comunale per provvedere in proprio ai fabbisogni costanti dell'istituto, le cui cadenze sfuggono a qualsiasi preventivo. Puntuali e tempestivi giungono i rimborsi di spesa, supportati dalla esibizione delle rispettive fatture, gelosamente custodite ed annotate nell'apposito registro contabile. Contrariamente alle aspettative generali, il contratto di affitto dell'edificio pubblico del Rosario non viene sottoscritto dai due aggiudicatari, Chierchia e Mascia, in seguito a contrasti privati sorti tra i due. Al loro posto subentra il prof. Antonio Romano, la cui richiesta costituisce l'ordine del giorno della seduta consiliare del 24 giugno 1926. Il voto unanime dei presenti delega la Giunta a "compilare un capitolato d'oneri che risponda alle richieste del prof. Romano e alle garanzie pel Comune, tenendo presente quello già precedentemente deliberato dal Comune nella tornata del 30-8-1925". Dopo poco tempo ritorna in campo il prof. Mascia che, riaprendo la gara con il suo contendente, contribuisce a far lievitare l'offerta base. La partita si conclude vittoriosamente a favore del prof. Romano. Sull'argomento si svolge un'intera seduta del consiglio comunale, il 25 luglio 1926. Il presidente del consesso Pasquale Cola, assistito dal segretario comunale, Carlo Carola, dopo aver relazionato all'assemblea su questo capo posto all'ordine del giorno, invita i consiglieri a prendere decisioni immediate e definitive, onde non perdere ulteriore tempo. Ottenuta la parola, il consigliere Angelo Annunziata "ritiene doveroso comunicare al prof. Mascia le nuove offerte e i vantaggi della recente istanza del prof. Romano". A questo punto fa bene il consigliere Francesco Saviano a chiedere il prosieguo dei lavori a porte chiuse, dal momento che la discussione comporta la chiamata in causa di persone. Approvata alla unanimità la proposta e fatto allontanare il pubblico dall'aula consiliare, il tono dialogico diventa acceso. Riprende la parola il consigliere Saviano, il quale reputa che la proposta, avanzata da Annunziata e mirata a riconvocare il prof. Mascia, sia una inutile perdita di tempo. Le informazioni in suo possesso sul conto del prof. Romano sono soddisfacenti per sciogliere la riserva a suo vantaggio, dal momento che il richiedente presenta al suo attivo "una vita spesa tutta nelle scuole medie, da cui ha tratto la esperienza necessaria a dare indirizzo ad un convitto". Ne è prova significativa la vivace vita dell'istituto partenopeo, il Vittorio Colonna, di cui il prof. Romano è direttore - proprietario. A questa proposta si associa anche il consigliere Scudieri il quale, pur apprezzando la "delicatezza" comportamentale di Annunziata, teme che si possa scatenare un circolo vizioso di continue riconvocazioni delle parti, in cui l'unico a subire i reali danni è il bene collettivo. Una vampata di orgoglio personale ammanta l'ulteriore intervento di Saviano. Egli, dopo aver stigmatizzato le inadempienze del prof. Mascia, reo di aver disatteso tutti gli impegni assunti l'anno precedente, si attribuisce il merito di aver sempre difeso la bontà dell'istituzione del Regio Ginnasio, schierandosi, persino, contro l'opinione opposta dei vari regi commissari, succedutisi a reggere le sorti del Comune, tra i quali il generale Gustavo Durelli. Alla luce dei fatti la vittoria arride alla schiettezza delle sue idee, le quali volano al di sopra delle persone e mirano ad "infondere nuova linfa nel Real Ginnasio". Entra, poi, nella discussione il consigliere Prisco il quale, invece, è favorevole alla sospensiva. La seduta è sciolta dopo l'approvazione unanime di una nuova proposta del consigliere Annunziata che delega la Giunta a presentare, entro la domenica successiva, 1° agosto 1926, "il capitolato di oneri per la concessione più conveniente al Comune sotto ogni aspetto morale e finanziario". La Giunta comunale lavora con solerzia nei sei giorni interini, dal momento che in questo strettissimo lasso di tempo prepara il capitolato d'appalto e lo porta, secondo gli accordi presi, all'attenzione del consiglio comunale per discuterlo ed approvarlo, il 1° agosto 1926. Ancora una volta le condizioni contemplate risultano molto favorevoli al Comune, dal momento che l'aggiudicatario prof. Romano si impegna non solo a ristrutturare lo stabile a proprie spese, che ascendono a 35.000 lire, secondo il progetto elaborato dall'ing. Achille Giliberti, ma anche a versare nella casse comunali quale pigione annuale settemila lire per il primo quinquennio e 1300 lire dal sesto in poi, somme da pagarsi a rate bimestrali anticipate. Non è ozioso affondare lo sguardo in alcuni capitoli della convenzione testé approvata, in quanto la loro lettura ci consente di avere una chiara idea topografica dell'intero edificio del tempo. Così sappiamo che l'intera vita del Regio Ginnasio, sia quella didattica che quella amministrativa, si svolge nei sette vani, situati al primo piano e prospicienti via alveo Rosario, con il tratto di terrazza interno parallelo. Invece, rientrano a disposizione del convitto le seguenti parti: a) tutti i vani a pianterreno, l'atrio, la chiesa e la sagrestia, meno il salone a destra dell'ingresso; b) i due vani allo stato primitivo, siti a primo piano a nord - est del Tennis, androne a pianterreno per l'ingresso di servizio e la striscia di terreno battuto parallelo al passaggio a vetro, che corre lungo il salone fino alla finestra del refettorio; c) la stanza sulla scalinata al piano matto; d) i due dormitori con le attigue terrazze vicine al cortile, il corridoio, la serie parallela di quattro stanze, più una all'estremità ovest, tutto al primo piano; e) l'intero secondo piano, compresa la grande terrazza. Ancora una volta intralci di varia natura impediscono la sottoscrizione del contratto già stilato. Questa volta la colpa è da attribuire non all'aggiudicatario, bensì ad una serie di concause. Le spiega bene il prof. Romano nella sua lettera inviata all'amministrazione comunale: egli lamenta, innanzi tutto, la consegna tardiva e parziale dei locali del Rosario; quindi, la lentezza burocratica della pratica, al punto tale che gli risulta impossibile sincronizzare il funzionamento del convitto con l'apertura dell'anno scolastico, il che ha significato per lui una perdita secca in termini economici. A questo punto non gli rimane altro che chiedere l'esonero dal pagamento del canone per i primi due anni, nonché alcune agevolazioni contrattuali in termini di proroga temporale. L'istanza epistolare costituisce l'argomento della discussione nella seduta consiliare del 31 ottobre 1926. La sostanza del ricorso viene considerta del tutto fondata: infatti, il secondo piano dell'edificio è tuttora occupato dalle scuole elementari, le quali vi permarranno finché non si troverà una sede idonea; buona parte dei locali del pianterreno è destinata ad accogliere i bambini dell'asilo "Regina Margherita", nel cui edificio, invece, è allocata la Regia Scuola Industriale. Siffatto riconoscimento non può esimere l'intero consiglio dall'accettare unanimamente le proposte di modifiche avanzate dal prof. Romano. Nemmeno la convalida delle istanze, avanzate dal prof. Romano, da parte delle autorità comunali spiana la strada per dare ariosità sufficiente alla sottoscrizione della nuova convenzione, che deve avere esecuzione dal 1° luglio 1927. Infatti, l'aggiudicatario, pur avendo occupato, anteriormente alla suddetta data, i locali del primo piano, non si presenta a dare veste giuridica al suo ruolo. Anzi, risulta abile ad adottare ogni stratagemma per procrastinarne i tempi: rimanda i reiterati inviti, calpesta tutte le voci del capitolato e giunge, persino, ad eludere il "pagamento delle pigioni sinora maturate". Immuni da tali diatribe, le sequenze educative ginnasiali obbediscono ai salubri richiami culturali, corroborati dalla presenza attiva del preside Prevedello il quale, il 1° gennaio 1928, nell'incipit del nuovo registro dei verbali, si augura "di non dover proporre né punizioni né rimproveri ad alunni, compiacendosi anzi della buona condotta di questi, che già mostrano di sentire lo spirito rinnovato di idee, sorto col fascismo". Questo clima nuovo aleggia nell'ultima circolare ministeriale che obbliga i docenti di lettere a tenere una conferenza di geografia. Gli interessati, riunitisi in presidenza, il 10 gennaio 1928, stilano un calendario dettagliato delle tematiche da sviluppare e dei rispettivi oratori: il presdie affronta il tema "Le Alpi e la loro importanza politica ed economica", il prof. Gioacchino Longobardi "Gli Stati dell'America meridionale e le colonie di popolazione italiana", il prof. Aniello Bifulco "Le colonie italiane", il prof. Donato Ambrosio "La produzione dei cereali nel mondo e in Italia", il prof. Giuseppe Vollaro "Il Mediterraneo e la formazione degli Stati attuali con riguardo alla posizione dell'Italia". Ma i palpiti del cuore giovanile non collimano con gli auspici del capo di istituto, poiché, poco dopo, il 16 febbraio 1928, in occasione dello scrutinio del secondo bimestre, sono vergate, tra l'altro, in quel registro le annotazioni negative nei confronti di alcuni alunni, pochi in verità, cui viene imputato scarso impegno nello studio. Anzi, il 30 aprile 1928, è convocato d'urgenza il collegio dei professori per affrontare un "caso disciplinare". Una lite tra due discenti, sorta durante il momentaneo allontanamento dell'insegnante dalla classe per "impellente necessità personale", fa comminare all'aggressorte quattordici giorni "di sospensione da tutte le lezioni, salvo ulteriori provvedimenti nel voto di condotta finale". Al di fuori di questi singoli provvedimenti, l'anno scolastico si avvia alla felice conclusione, dopo che gli insegnanti hanno adottato i libri per l'anno successivo in due sedute collegiali, l'una svoltasi il 28 maggio, l'altra il 5 giugno 1928. Scorrendo l'accluso elenco, che annovera venticinque testi per la quarta ginnasiale e ventisette per la quinta, compresi i vocabolari, notiamo come la parte del leone è esercitata dall'italiano, soprattutto, per l'ampio spazio riservato ai classici che spaziano dallo studio obbligatorio dell'Eneide e dei Promessi Sposi fino alla lettura delle tragedie dell'Alfieri o delle opere di Parini, oltre ai brani dell'antologia, corredata da due ulteriori testi di retorica e di stilistica. Non nascondiamo di provare una immensa gioia, allorché incontriamo di nuovo qualche caro sussidio, che ha fatto "scuola" anche nella nostra adolescenza, come l'intramontabile vocabolario di latino "Campanini e Carboni", o quello di Georghes, la grammatica e gli esercizi di Zenoni, il vocabolario di italiano di Zingarelli , il "Ghiotti" di francese, manegevole nella consultazione, ma completo nella resa linguistica, l'inossidabile atlante geografico della De Agostini, ad ognuno dei quali ci lega qualche ricordo, richiamato per qualche attimo dall'album del nostro vissuto. Terminate le operazioni di scrutinio finale, il 4 luglio 1928 segna il giorno ufficiale della chiusura dell'anno scolastico: i docenti depositano in presidenza la loro relazione conclusiva sull'andamento didattico della loro classe, nonché un piano di lavoro per l'anno successivo; si impegnano ad essere tutti presenti nel mese di settembre per gli esami di riparazione; quindi si congedano partendo per le meritate vacanze estive. Nel frattempo, sul fronte delle trattative comunali per l'affitto dello stabile del Rosario, il prof. Romano insiste in una serie di inadempienze, che entrano a far parte, nel marzo 1928, del rapporto durissimo stilato dal Commissario Provinciale degli Atti. Di fronte a ciò, il potestà Pasquale Cola, il 24 agosto 1928 a. VI, d'autorità, revoca al suddetto assegnatario la concessione e lo invita a consegnare i locali entro tre giorni da quella data. Il prof. Romano obbedisce nei termini stabiliti all'ingiunzione, ma inoltra ricorso al Consiglio di Stato avverso la deliberazione di revoca. A questo punto non rimane altro al Comune di Ottaviano che affidare la difesa delle sue legittime motivazioni all'avv. Gustavo De Laurentis. Dopo quattro giorni giunge sul tavolo del podestà una nuova richiesta del prof. Alfonso Chierchia il quale si dichiara disposto a rispettare tutti gli obblighi stabiliti per la concessione nel capitolato pubblico, stilato con il suo predecessore, "senza riserva di sorta". Sono ancora impressi nella coscienza ottavianese i meriti del suo antico convitto, "vivaio di quei giovani di questa plaga vesuviana che oggi occupano i migliori posti in società e nella grande Guerra si distinsero per il loro valore". Sull'onda di questo ricordo viene accolta l'offerta del prof. Chierchia e l'amministrazione comunale si impegna a redigere un contratto, la cui validità, però, inizia con il nuovo anno. Questa volta l'assenso non basta al prof. Chierchia per coltivare il sogno di rinverdire i fasti del passato, poiché la sua morte prematura lascia il vuoto dietro di sé. Vediamo, il 18 ottobre 1929, i suoi eredi intenti a cedere al Comune per la cifra di lire 1800 le ultime tracce del defunto, rappresentate da suppellettili scolastiche nuove: "settanta banchi, quattro cattedre complete, tre lavagne con cavalletti, due tavoli per disegno, sei scaffali ed altro materiale di minore importanza". Tutte queste suppellettili vanno ad arricchire l'arredo del nostro Ginnasio, tra le cui pareti la vita didattica è nel pieno del suo fervore. Nel frattempo lo stabile del Rosario non è disposto ad attendere ulteriormente la girandola di febbrili ma lente trattative e, a più riprese, fa sentire la sua impazienza con spallate laceranti. Così l'intervento comunale, per quanto parcellizzato e diluito per motivi di cassa, non lesina il suo apporto, anche se con lavori di economia, rispondendo, almeno, alle necessità più urgenti. L'ultima, in termini temporali, intenzione fattiva del Comune è il finanziamento di un progetto più generale di interventi strutturali, contemplati nel progetto dell'arch. Alfredo Criscuolo e sollecitati dallo stesso preside del Ginnasio, Giocondo Prevedello. All'uopo viene stanziata la somma di lire 5760, il 1° maggio 1929 a. VII. Effettivamente il preside del Ginnasio, anticipando future funzioni richieste dalla categoria, indossa spesso i panni del manager, allorché lo vediamo impegnato, in prima persona e nell'interesse della scuola, in iniziative autonome. La sua azione è resa più agevole dal rinnovo verbale di autonomia finanziaria da parte del podestà il quale è sempre sollecito nel rimborsargli qualsiasi spesa, dopo aver esperito la prassi consolidata, relativa alla esibizione delle fatture. Immaginiamo, quindi, la delusione provata dal preside Prevedello, il 14 marzo 1930, allorquando viene diffidato dall'eseguire spese, senza che esse siano preventivamente deliberate. Questa non è la voce del podestà Pasquale Cola, ma del suo successore, il commissario prefettizio, rag. Luigi Zuppardo. Il capo di istituto, fiero della onestà della sua condotta, non è disposto a tenersi le bacchettate di correttezza amministrativa impartitegli alla cieca, per cui, il 6 maggio 1930, gli invia una risposta scritta, onde sgombrare il campo da qualsiasi illazione gratuita e inopportuna. Lo scrivente è pronto a seguire l'iter procedurale suggerito dal nuovo inquilino del palazzo ottavianese, per cui si impegna ad inoltrare al mittente, ad inizio del prossimo anno scolastico, "la nota di quanto possa occorrere per la fornitura del Ginnasio di oggetti di cancelleria ed affini e pel mantenimento e pulizia dei locali e che nulla sarà acquistato senza autorizzazione". Nel contempo egli, inalberando il vessillo del bene collettivo, ricalca la valenza del suo ottennio presidenziale, appllandosi al vissuto concreto, visibile nel patrimonio più vivo del Ginnasio: "... la palestra è quasi tutta opera mia personale ed è tutta spesa del ginnasio e di qualche sussidio governativo la nuova bandiera, un corredo quasi completo di carte geografiche, il rifornimento annuo alla biblioteca di carte geografiche, che possiede ben tredicimila lire ed è eretta ad ente morale". Tutto ciò non turba la chiusura regolare dell'anno scolastico in corso, che contempla lo scrutinio finale, svoltosi il 6 giugno 1930, e i rispettivi esami, conclusi il 29 giugno successivo. Intanto il commissario prefettizio Luigi Zuppardi, assistito dal segretario comunale, Carlo Carola, il 26 giugno 1930, provvede ad onorare gli impegni pubblici, assunti dall'ente politico locale all'atto della convenzione, circa l'obbligo di dare una abitazione al bidello del Ginnasio. La sua procedura è in linea con l'operato del suo predecessore, il podestà Pasquale Cola, di cui riprende "i lavori a pianterreno dell'edificio del Rosario, per provvedere alla richiesta abitazione, aprendo dei vani inutili". Questi lavori di adattamento, che impegnano la spesa di lire 1200, vengono eseguiti dall'imprenditore ottavianese Gennaro Visone, dietro progetto dell'ingegnere comunale Saverio Scudieri. Dopo pochi giorni, l'11 luglio 1930, giunge anche l'approvazione superiore circa la esecutività di altri interventi aggiuntivi a favore dell'istituto ginnasiale: "... due nuove bussole di legno e le riparazioni di tutte le chiusure in legno e dei telai delle finestre e balconi delle diverse aule scolastiche, rimpiazzo di quaranta vetri". A fronte del massiccio investimento di risorse economiche, il Commissario prefettizio non può alleggerire, a carico degli studenti, la tassa erariale di frequenza, mantenuta, però, in maniera eguale a quella in vigore nell'anno precedente. Poco dopo il disastro tellurico del Vulture, scoppiato il 23 luglio 1930, lascia segni marcati in tutta la nostra realtà cittadina. Non ne rimane immune l'edificio del Rosario, che continua ad accogliere le scuole elementari ottvianesi ed il Real Ginnasio, minato nell'arcata centrale del salone a pianterreno. Queste pericolose lesioni destano molte preoccupazioni anche all'occhio dell'ingegnere del Genio Civile, incaricato dall'Alto Commissario di accertare i danni cagionati. La sua conseguente relazione, stilata a tinte forti, accelera i tempi burocratici, tanto che, il 7 agosto 1930, risulta esecutiva la delibera del nuovo Commissario prefettizio Giuseppe Ruggieri, almeno per ciò che concerne la risoluzione della falla più vistosa: viene ordinata, con rito d'urgenza, la "tompagnatura" dell'arco lesionato. Anzi, con la stessa delibera, è affidato l'incarico all'ingegnere Ernesto di Palma di stilare un progetto integrale "per la sicurezza dell'edificio stesso". Frattanto, il 28 agosto 1930, l'avvocato Gustavo de Laurentis, difensore degli interessi comunali nell'annosa lite con il prof. Antonio Romano, comunica l'esito favorevole della sentenza, emessa dalla prima sezione civile del tribunale di Napoli. In ottemperanza a ciò il Commissario prefettizio liquida al suddetto legale la somma complessiva di 2898 lire e cinque centesimi, comprensiva dell'onorario e di tutte le spese giudiziarie, "salvo rimborso dal prof. Romano come da sentenza anzidetta". Gli ultimi provvedimenti firmati dal Commissario prefettizio a favore del Real Ginnasio risalgono, rispettivamente, al 1° e al 13 ottobre 1930: il primo contempla la revoca dell'incarico all'ingegnere Ernesto di Palma, il quale dichiara la non disponibilità a redigere un progetto generale e la surroga con l'ingegnere Salvatore Scudieri; la seconda delibera, invece, approvando la rapida redazione del progetto con la spesa di lire 10800, ne affida l'esecuzione dei lavori all'imprenditore Gennaro Visone. Il Preside Prevedello è ancora al suo posto il 6 ottobre 1930, allorché convoca in presidenza i docenti Pietro Cirillo, Donato Ambrosio, Giuseppe Vollaro, Aniello Bifulco, Giuseppe Masella e Pasquale Bonadonna per "prendere accordi preliminari" sull'andamento didattico e disciplinare per il nuovo anno scolastico 1930 - 31, la cui apertura prevede il seguente cerimoniale: a) Riunione delle scuole comunali (classi superiori della scuola industriale e del Ginnasio) nella sala dei balilla, pianterreno dell'edificio, dove il Ginnasio ha sede. b) Addobbo, per l'occasione, della sala. c) Conferenza del prof. Cirillo su Virgilio, preceduta, se sarà del caso, da poche parole di occasione del Preside. d) Corteo di tutte le scuole al monumento dei caduti, ove sarà deposta una corona. Poco dopo, alla notifica ufficiale del congedo in quiescenza per limiti di età, il preside Giocondo Prevedello, nello stilare il bilancio del suo incarico presidenziale, ne affida il messaggio spirituale ai giovani: "Giovinetti carissimi, con amore di padre vi rivolgo la mia ultima parola nel lasciare la presidenza di questo Istituto. Voi siete stati per otto anni la mia cura, il mio pensiero, Dio sa se avrei voluto centuplicarmi per potervii assistere uno per uno come figliuoli. Ho la coscienza tranquilla di aver nulla trascurato che potesse giovare alla formazione della vostra mente e del vostro cuore di Italiani. Vi lascio con l'augurio più ardente, più alto che possiate tutti raggiungere la meta a cui il cuore dei vostri genitori vi accompagna e riuscire quali la Patria vuole i suoi figli. Una sola esortazione vi rivolgo in questo momento: siate buoni, amate il Signore. Nella bontà d'animo e nel timore di Dio troverete tutte le energie a superare gli ostacoli, a vincere le difficoltà, a raggiungere ogni vostro nobile intento. Vi stringo tutti al mio cuore e la memoria di voi si spegnerà in me con l'ultimo anelito della mia vita. Vostro aff.mo per sempre Giocondo Prevedello".
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Die quarto mensis iunii 1629 in terra Octajani et proprie in platea publica dictae terrae, et petita venia, et previa licentia domini gubernatoris dictae terrae, oretenus nobis concessae..... Congregatis et coadunatis magnificis Simone Bifulco sindico et notaio Joseph Finello eletto et cancellario in presenti anno ad regimen dictae terrae una cum Ioanne Matteo Bifulco, medico Ioanne Francisco Iovino et Iulio de Rinaldo similiter electtis ... et deputatis dictae terrae Felice Bonavita, capitanio Andrea Bocino, Terentio Boccia, Ioseph Iovino, notario Ioanne Dominico Mazza, Cesare Bifulco, ............. et de più se fa intendere alle SS. Vostre come il quondam Scipione Boccia per sua devotione donò alla Università nostra di Ottaiano settanta palmi in quatro de terreno della sua masseria, sita nelle pertinenzie de detta terra di Ottaiano, dove se dice alla via de Striano, con che detta Università ne avesse eretta una ecclesia sotto il nome di San Giuseppe e che fosse ius padronato de detta Università, nel quale vacuo o terreno per li vicini et devoti per causa de nostro Signore Dio ne è stata fatta detta Ecclesia et perché hanno inteso che detto fondo sia de detta Università hanno cessato et cessando di dotarla et augmentarla et hanno fatto istantia che se chiamasse l'Università in pubblico parlamento et determinasse di volerla accettare et dotare o cederla a detti devoti et particolari a fine che se pigliassero questa resoluzione necessaria ..... Et inteso per detti circostanti cittadini et deputati le cose predette, tutti dissero, determinarono et conclusero che detto glorioso Santo Giuseppe sia perpetuo protettore de detta Università et detta ecclesia se pigliasse per jus padronato della detta Università e che l'Università l'assegnasse per dugento docati di dote e che don Giovanni Antonio de Gasparro durante sua vita fosse rettore beneficiato et cappellano de detta venerabile ecclesia, la quale ecclesia se debbia governare per tre maestri laici, li quali maestri se debbiano eligere per li magnifici eletti per pubblico parlamento ogni anno et proprie quelli che haveranno più voce, uno della piazza e che due delli tre maestri debbiano essere dell'istesso quartiere de detta ecclesia e per maestri et eletti dipoi la morte di detto don Giovanni Antonio se debia eligere il cappellano, il quale sia amovibile ad electione di detti magnifici eletti et maestri........
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Di Admin (del 06/08/2010 @ 19:00:00, in articoli, linkato 1617 volte)
28 giugno 1609. Capi e aggravi contro Filippo Grimaldo che si propongono per la città di Monte Sant’Angelo per la domanda del demanio e anco sia costretto il Barone di essa a vendere detta città offrendo di adempire a quanto sarà obbligato. In primis. Come il detto Filippo, non essendo ancora barone, mostrò la sua mala volontà e animo contro i cittadini di essa, poi che sempre la minacciò volere levare ad essa città tutto quello che aveva di privilegio nel bosco demaniale nelle difese e territori e giurisdizioni che aveva essa Università così come per effetto cominciò a fare e avendo cominciato a pigliare possessione di detta città e proprio nel mese di maggio, esercitando l’ufficio del mastro mercato un cittadino di essa e ne sta in possessione la città di eligerlo, il capitano di essa de fatto per ordine di detto Barone cercò di privarla facendo banni che non se li desse obbedienza, anzi dopo procurò far venire qua in Napoli obbrobriosamente il detto mastro mercato, dottore carcerato e tutto per odio e mala volontà. Per il che avendosene ricorso da V. E. fu ordinato che non fosse innovato cosa alcuna e mantenuto in possessione e confirmato per lo Sacro Regio Consiglio. 2. Come arrivato il Barone in detta Città per atterrire i cittadini di essa e acciò che con più facilità li reducesse a fare quanto esso voleva per forza fece nove carcere in un luogo eremitico, oscuro, distante dall’abitato, sotterranee insolite, e con effetto cominciò s carcerare i cittadini di essa .......
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Di Admin (del 02/08/2010 @ 20:11:40, in articoli, linkato 767 volte)
23 luglio 1746. Si vede oggi confinante la suddetta terra e feudo di Torchiarolo con quattro feudi, tre di essi rustici e uno nobile, che sarebbe il feudo di San Pietro Vernotico posseduto dalla mensa vescovile di Lecce, cioè verso la volta di Scirocco col feudo rustico disabitato detto Comune seu dell’Abbate, sopra di cui vi esercita la giurisdizione il Principe di Squinzano per lunghezza di miglia tre in circa di cammino, verso la volta d’oriente con il feudo rustico detto di Cerrata posseduto dalla R. Casa Santa degli Incurabili per lunghezza di un miglio in circa, dalla parte di tramontana col feudo nobile di San Pietro Vernotico posseduto dalla mensa vescovile di Lecce per cammino di miglia due in circa; da occidente col feudo rustico detto di Bagnara sopra di cui vi esercita giurisdizione il Principe di Squinzano per lunghezza di miglia tre in circa, quali confini passano e corrono per dentro vigneti, possessioni di olive e territori seminatori ed altri diversi particolari in guisa tale che viene ad essere il perimetro ossia il perisferio miglia nove in circa. Laonde si può dire che il suddetto feudo risiede in luogo tale che dalle sue convicine terre si dilunga all’infrascritto modo: In primis dalla città di Lecce miglia dodici in circa; da Surbo miglia nove; da Tribuzze (Trepuzzi) miglia sei, ove si fa la fiera alli 15 di agosto; da Squinzano miglia tre, da Carpi (Carpari) miglia sei, dove si fa il mercato ogni giovedì; da San Pietro Vernotico miglia tre; da Cellino miglia cinque; dalla città di Brindisi miglia dodici; dal mare Adriatico miglia tre; dalla città di Gallipoli miglia trenta, dalla città di Nardò miglia ventuno; dalla città di Ostuni miglia trenta; dalla città di Otranto miglia quaranta; e dalla città di Taranto miglia quaranta, e diverse altre terre e città convicine……. In primis il palazzo baronale seu castello, quale si vede possedere nella terra di Torchiarolo ed in buono sito di quella, confinante da strade pubbliche e da un lato di essa con li beni della camera baronale istessa, componesi poi in figura quadra, formando uno spazioso cortile, nei due angoli di quello si vedono due torrioni per ornato e difesa del medesimo, di cui se ne fa particolare descrizione. Nel mezzo quasi dell’abitato della terra risiede il palazzo baronale a forma di castello, tenendo due torri per custodia, ha la sua facciata principale verso la porta di Lecce, che sarebbe verso l’ostro e scirocco, lavorata di pietra di taglio, nel mezzo della quale vi sta il portone rotondo con orna di pietra del paese, chiamata volgarmente Carparo, ben intagliato e sopra di esso vi è l’impresa delle armi gentilizie della famiglia Angrasani olim padrone di detta terra. Da esso si entra nel cortile scoverto di figura oblunga, al di cui piano alla destra entrandosi vi è il carcere coverto a lamia con cancello di ferro verso la strada sotto la torre da descriversi. Alla sinistra si trova un magazzino a lamia, ove si ripongono l’olii, dopo di questo due bassi anche a lamia, ed un magazzino grande per riporre vettovaglie di buona capacità per essere di lunghezza quanto comprende un lato d’appartamento, attaccato al quale magazzino vi sta la porta per cui si entra in un piccolo giardinetto a modo di fosso, il quale poi si unisce con un altro cortile retrano di detta casa, che viene a stare alligato al giardino, che appresso si descriverà. In testa di detto cortile principale vi sono due stalle e rimessa, ciascheduna capace per quattro cavalli, una coverta a tetto e l’altra a lamia e la rimessa capace per due case e nel cortile vi sono tre fosse dentro terra per conservare grano e ciascheduna di tomola seicento di capacità……. Vi sono poi vari edifici ecclesiastici, tra i quali .… la chiesa madre parrocchiale sotto il titolo dell’Assunta, la quale si compone di una navata coverta a lamia con pavimento compartita con pilastri formante nel lato sinistro entrandosi tre cappelle dentro muro ornate di pietre del paese con vari intagli e frontespizio con altare di fabbrica platella e gradino di legname. La prima sotto il titolo di Madre Signora del Carmine con quadro sopra di mediocre mano, la seconda dell’Immacolata Concezione e la terza dei SS Apostoli, che vi è la confraternita del Santissimo. Alla destra due cappelle simili e la porta piccola: la prima sotto il titolo di San Francesco e la seconda di nostra Signora di Costantinopoli.
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Di Admin (del 02/08/2010 @ 19:56:58, in articoli, linkato 553 volte)
8 aprile 1771. Ufficio di catapano nella città dell’Aquila. In primis che il magnifico Catapano di detta città dell’Aquila debbia in vigilare che li infrascritti capitoli si osservino inviolabilmente da tutte le persone così cittadini come forestieri abitantino in detta città dell’Aquila e suo territorio e distretto ……… Item che le suddette strade così maestre come stradette siano vacue e libere, di modo che per quelle si possa liberamente passare con carre, carrette, some, ed ogni altra cosa, senza impedimento alcuno sotto pena di carlini due da pagarsi da chi darà causa di detto impedimento con fare levare l’impedimento suddetto a sue proprie spese. Item che tutte le strade dentro detta città dell’Aquila si debbiano ogni sabato a sera nettare e pulizzare e portare l’immondizia nelli luoghi soliti sotto pena di un tarì …. Item che nullo pellicciaro o qualsivoglia altra persona ardisca nella piazza ovvero nelle strade dell’Aquila buttare fodera o corie, pelle e se alcuno contra farà paghi di pena tre carlini per ciascuna volta. Item che li corpi di animali morti si buttano fuori dalla città per li patroni di essi animali, ovvero li compratori di essi lontano dalle mura della città per canna cinquanta, né vicino alle mura della porta della città né in alcuno fiume o rivo d’acqua per la medesima misura e se qualcuno lo farà sia tenuto alla pena di carlini venti per ciascuna volta…. Item che qualunque persona che tenesse cani, scrofe e porci in tempo che le uve sono maturate, debbiano appendere l’ancino al collo di essi e chi qualunque contro farà paghi di pensa soldi cinque e se alcuno troverà porco, cane o scrofa nella sua vigna piena possa liberamente ucciderlo e la metà della carne sia sua e l’altra metà del magnifico catapano e non potendolo uccidere il principale di detti animale paghi di pena grana dieci, con pagare il danno al paziente da starsene al giuramento del denunziante, e questo abbia luogo fuori le mura della città…… Item che tutti li macellari debbiano tenere li pesi giusti cioè rotoli e mezzi rotolo e libra marcati e sigillati con il suggello della comunità sotto pena di un carlino per ciascuno però che si troverà e per ciascuna volta che sarà trovato. Item che detti macellari debbiano tenere la bilancia giusta e netta e fare giusto peso ad ognuno e chi contrafarà paghi di pena carlini due per ciascuna volta. Item che detti macellari debbiano vendere le carni a quelli prezzi che li saranno stabiliti e ordinati dai magnifici del Governo o grassieri e chi contrafarà paghi di pensa carlini due per volta. Item che detti macellari non debbiano masticare una carne con l’altra nel vendere sotto pena di carlini due per ciascuna volta e non debbiano pesare teste, corata né piedi sotto detta pena. Item che nessuno di detti macellari ardisca vendere carne infetta o mortacina di nulla sorte sotto pena di un docato per ciascuna volta. Item che nessuno di detti macellari possa tenere trippe o sangue nelle banche sotto pena di carlini due per volta…. Item che nessuno di detti macellari tenga carne porcina ovvero scrofina in quella banca o luogo dove tengono la carne castratina o porcina o d’agnello, ma la debbiano tenere separata l’una dall’altra e chi contrafarà per ciascuna volta incorra alla pena di un tarì.
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Di Admin (del 02/08/2010 @ 19:46:27, in articoli, linkato 586 volte)
Il principe di Stigliano possedeva tra il suo stato di Mondragone un continente di terreni pantanosi detto Paneta e Panetella demaniale del feudo, di tal che i cittadini di Mondragone avevano il diritto di pascere in esso. Di detto pantano ne aveva fatto una difesa, vi teneva bufala propria con propri stigli di pagliara e affittava tutto con l’inventario. Nel tempo stesso l’Università di Mondragone possedeva confinante altro pantano suo demaniale … e l’affittava anche per pascolo di bufale. Negli atti vi è lo strumento di affitto fatto dall’Università nel 1617 per anni otto per lo staglio di ducati 290 ad un tal Francesco Pucci… Nel 1620 del demanio del feudo detto Paneta e Panetella e del demanio dell’Università, ambedue dai rispettivi padroni destinati ad uso di difese per pascolo di bufale in tutto l’anno, si formò un corpo e una difesa, poiché dovendo il Principe di Stigliano fare assegnamento in beneficio di sua nuora, per fare il pieno si fece cedere dall’Universitù detto demanio. A dì 6 ottobre di detto anno 1620, certi procuratori di certi asserti Sindaci di Mondragone cederono l’affitto di detto demanio al Principe … ed il Principe in escambio rilasciò all’Università una ingiusta esazione di ducati 166 che su di lei annualmente faceva; e per farsi il pieno dei docati 290 estaglio del precedente affitto del 1617, che ancora durava, aggiunse una casa diruta, come dall’istrumento …. Nel 1621 il Principe di Stigliano diede in solutum col patto della ricompra detti demani convertiti in difese alla vedova Duchessa di Mondragone. Costei scrisse suo erede Don Domenico Caraffa fratello del Principe di Stigliano e li demani passarono in di costui beneficio. Questi nel 1681 affittò detti demani nella pertinenza della terra di Mondragone con tutte le pagliare, che servono per l’uso di massaria di bufale e loro custodi, con tutte le bufale e stigli per anni cinque per lo staglio di docati 1000……. Nel 1690 lo stato di Mondragone fu venduto dal fisco al Marchese di Clarafuonte con la giurisdizione in tutto il territorio: del medesimo si specificarono i confini, che chiudono in mezzo Paneta e Panetella, come chiaramente appare dalla relazione di apprezzo e dall’offerta…
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