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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Il discorso del deputato Francesco Crispi, pronunciato il 1875 nella seduta, vertente sullo schema di legge per provvedimenti di pubblica sicurezza, risulta interessante sotto molteplici aspetti.
Innanzi tutto, fin dall’esordio, egli si distacca completamente dall’ottica analitica adottata dai colleghi che lo hanno preceduto: essi, pur essendo stati esortati dal presidente del consiglio ad affrontare il problema in ambito nazionale, lo hanno localizzato in ambito strettamente siciliano.
Siffatta scelta, in cui si riflettono i segni palesi dell’aspra campagna contro la Sicilia e le province meridionali, scatenata l’anno scorso dai giornali di destra dopo le elezioni, comporta due gravi conseguenze, entrambe deprecabili, l’una morale, la seconda sociale.
La prima conseguenza porta alla divisione dell’Italia su due fronti contrapposti, “da un lato gli eletti, dall’altro i reprobi”, sulla supposizione “che la moralità della popolazione del mezzogiorno sia inferiore alla moralità di quelle che sono al nord della penisola”. Nei fatti si tende a vanificare definitivamente gli sforzi sostenuti per raggiungere l’unità nazionale.
Il danno sociale riveste analoga negatività: adottando una prospettiva sbagliata, si rischia di non riuscire a curare il male e, addirittura, di applicare rimedi che lo inaspriscono sempre più.
Di qui deriva spontaneo il presente quesito: c’è davvero bisogno di una legge di pubblica sicurezza speciale? L’oratore risponde negativamente sulla scorta di prove, attinte da documenti pubblici, rappresentati dalle tre statistiche ufficiali del ministero della giustizia, redatte il 1863, il 1869 e il 1870, nonché dal testo “L’Italia economica”, in cui si leggono le statistiche penali del 1871 e del 1872. Tutte queste hanno un comune dato di fondo incontrovertibile: “la criminalità in tutto il regno è eccessivamente aumentata”.
Completa il reparto documentario il testo di Curcio, stampato per volere del ministero di grazia e giustizia. In esso l’autore divide l’Italia in quattro regioni: l’Italia settentrionale che comprende il Piemonte la Lombardia e la Venezia; l’Italia media che include la Liguria, la Toscana, l’Emilia, le Marche e l’Umbria; l’Italia meridionale corrispondente alle antiche province del regno di Napoli con l’aggiunta della provincia romana; l’Italia estrema ed insulare, in cui rientrano la Calabria, la Sicilia e la Sardegna.
La lettura critica dei dati, esaminati alla luce della proporzione degli abitanti con i reati commessi annualmente, avalla che la parte estrema dell’Italia “dà un maggiore contingente alla giustizia criminale, il che, a giudizio di Crispi, “è uno stato normale”.
Non rimane altro che scoprire le cause dell’eccessivo aumento dei reati. Lo sguardo va proiettato sulla realtà storica del tempo: essa suggerisce la seguente verità: “dopo il 1869 le condizioni economiche del paese non si sono migliorate”.
In tale periodo vi è stata la “terribile imposta sulla macerazione”, conosciuta da tutti come l’imposta della fame, nonché l’aumento continuo di tutte le altre imposte, che hanno fatto sentire gli effetti più deleteri sulle spalle delle classi inferiori.
Nel contempo la diminuzione dei prodotti naturali in rapporto al fabbisogno della popolazione aumentata, la minore produzione industriale, il rincaro dei viveri, la nascita di bisogni fittizi, “l’intemperanza fisica e morale” da parte di chi non capisce cosa sia la vera libertà o ne abusa e l’impunità dei reati, il rallentamento dei vincoli familiari, di “quei principi e quelle norme tanto necessarie all’uomo per condursi onestamente”.
Alla frenetica attività di quanti frequentano le borse, le banche o le industrie, foriere di improvvise fortune, fanno da contrappeso l’operaio e il contadino che, oppressi dalla mancanza di lavoro o dalla cattiva remunerazione della loro opera, si riverso nelle strade, spogliano le case e chiedono con il coltello ciò che non riescono a guadagnare “per imprevidenza del governo”.
Questo è il motivo per cui sono aumentati i reati contro la proprietà e la persona.
Di fronte ad uno spaccato sociale così desolante il rimedio deve essere generale e riguardare la buona legislazione, nonché un sistema tributario “più equo, meno vessatorio, meno fiscale, tale da non mettere la disperazione nelle popolazioni”.
A questo punto Crispi, indotto anche dalla passione per la sua terra, rivolge l’attenzione a dimostrare che i reati sono aumentati in Sicilia non per cause particolari legate all’indole, alle abitudini e alla terra degli abitanti. Di qui la conclusione con lo sguardo rivolto verso quelli che hanno governato per quindici anni: “La causa, o signori, è nelle vostre leggi e nel vostro governo”.
L'onorevole Minghetti ama, vuole la libertà; l'onorevole Nicotera reclama per la libertà; l'onorevole Depretis spasima per la libertà, ed io in piazza Sciarra ho incontrato una donna ammanettata fra i carabinieri che mi diceva di essere la libertà. Onorevole Depretis, veda di concederle almeno la libertà provvisoria.
Felice Cavallotti.
In questi giorni si è fatto un gran parlare di Napoli, in modo da mettere in forse la buona fama di quella città bella ed illustre. Merita Napoli questo ultimo oltraggio? Di questo voglio parlare.
Quando io a molti uomini egregi che vivono a Napoli domando: perché non vi occupate un poco della città? Rispondono: Ci sgomenta l’indifferenza pubblica. Non conoscono bene la città. Essa non ha la continuità dei montanari e dei pianigiani, ma la discontinuità dei vulcanici: ha, come il vulcano, un giorno d’impeti, di esplosioni terribili ed anni di riposo: abbandona il capo sulle lave raffreddate e si addormenta: ma quel giorno vale molti anni e sarebbe buon accorgimento di governo non farlo ripetere.
Voi dovreste scongiurare il ritorno di uno di quei giorni, ricordando che una città la quale ha tanti perduto e tanto sacrificato all’unità nazionale, ad una cosa non si rassegnerà mai, a perdere il suo onore, per colpe non sue.
Poi vivono due ordini di cittadini, l’uno separato dall’altro, come un secolo fa, quando i dotti volevano la repubblica alla francese e la plebe voleva il regno indipendente. Quei dotti discendono da Vico e costituiscono la storia; quella plebe discende da Masaniello e serba il costume. Non s’intendono tra loro. Ma una classe intermedia viene sorgendo, di onesti commercianti e industriali, che potrebbe essere come una intesa tra due estremi, consociandosi civilmente ad un fine di benessere comune e di equa convivenza.
La plebe è buona, come la terra da cui nasce il cielo che la guarda operosa ed allegra nello squallore. Il ceto dottorale è ricco di cultura e sentimento. La classe intermedia non arriva a consociarli, lottando a difendere le sue iniziative contro la ferocia fiscale, mentre Napoli è rimasta quasi troncata fuori del commercio italiano.
Che avviene allora? Alcuni che temono investire i loro piccoli capitali in imprese fruttifere, per campare la vita, li allogano in usura.
E, per giustificarsi fanno un discorso strano: Non è usuraio il governo che piglia il cinquanta per cento? Dunque possiamo anche noi.
E ne nasce l’homo hominis lupus. L’agente inesorabile da una parte, l’usuraio dall’altra, l’uno e l’altro onnipresenti.
Sì, signori l’usura cresce dove i capitali non trovano altra forma di investimento e dove la tirannia
fiscale sfrutta le iniziative. E lì voi trovate l’usuraio dietro tutte le forme di frode. Entrate nella bisca e sotto la posta ci trovate la cambiale; entrate nella bottega di lotto e accanto al vincitore trovate l’anticipatore usuriere, sin nell’alcova della Venere sbordellana a adultera.
Questa forma di delinquenza penetra nel costume e si legalizza. Infatti per le pubbliche vie noi leggiamo tabelle sulle quali è scritto: Agenzia dei pegni! E’ una usura protetta dalle leggi. Se l’infelice debitore arriva col prezzo di restituzione una mezz’ora dopo, trova venduto – falsamente – il pegno, talvolta un anellino di oro, talvolta un orologio di argento, più spesso ahi! il materasso e la coperta! E scrissero che i tribunali e le are fecero pietose le umane belve!
Che ci ho da vedere io? Dice l’onorevole Pelloux. Vi rappresenta lo Stato, e se lo Strato non è il protettore del diritto e della morale, è una bugia e allora l’anarchico trionfa di voi.
Ed ecco dentro una città laboriosa e buona è nato questo manipolo di vampiri, sui quali – quasi coefficienti di governo – la legge dorme.
A voi muovo queste domande: E’ lecita l’usura legalizzata, a cui l’istesso Banco pensò al tre e quattro per cento, perché i capitali sfruttassero al quaranta e al cinquanta per cento?
E quando le frodi, dirette all’usura, da più anni si allargavano e irritavano i malaccorti e gli avidi, fece bene l’autorità locale a non sopprimere la brigata di malfattori?
Le bische, le agenzie usuraie debbono esercire sotto l’occhio del potere di polizia e del potere giudiziario?
E che vuol dire? Se si radunano dieci o venti giovani a commentare la massima Dio e il popolo o la dottrina del Capitale, sono tradotti in tribunale, e i biscazzieri, i falsari, gli usurai godono l’extraterritorialità degli ambasciatori!
Mentre l’onorevole sottosegretario rumina la risposta, io dall’Assemblea nazionale voglio mandare un saluto alla vera Napoli, a quella che pensa e lavora, e che mentre per secoli è stata la capitale, non dirà mai di fronte a Roma, la capitale d’Italia voglio essere io!
Giovanni Bovio
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