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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Admin (del 11/08/2010 @ 16:33:26, in articoli, linkato 686 volte)
1705. La fedelissima città della Cava supplicando espone a V. E. come da più di centinaia di anni si ritrova introdotta in essa città l’arte della seta in fabbricare ogni sorta di drappi e tingere ogni sorte di colori ed in particolare il nero, che è l’unico sostentamento dei suoi poveri cittadini, li quali sempre sono stati nel possesso di lavorare detti drappi e fare dette tende, conforme al presente si ritrovano. E come li odierni Consoli dell’arte della seta di questa città per alcuni loro caprici e fini particolari, sapendo che questi al numero di dieci o dodici devono portare le loro mercanzie dei drappi ascendentino a ducati ottantamila e più nelle fiere di Barletta, che si fa alli 11 del corrente mese di novembre, e in quella di Bari, che si fa alli sei dell’entrante mese di dicembre, minacciano di voler sequestrare detti drappi e mercanzie, supponendo stessero soggetti alla loro giurisdizione contro ogni dovere e ragione, cum reverentia. E perché l’arte della seta in detta città di Cava, da che si è introdotta, è stata indipendente da quella di questa Città, e loro consoli, conforme in altre città del Regno, e non potendo detti mercanti portare le loro mercanzie dei drappi ed altro, conforme al solito, in dette fiere, acciò del prezzo di esse potessero soddisfare li dovuti pagamenti maturati in dette fiere ai loro creditori, che sono mercanti in detta città della Cava, ed in questa di Napoli, porterebbero gran pericolo di fallire non meno essi che li loro mercanti creditori, e sarebbe la totale rovina di detta città della Cava e questa di Napoli per la comunicativa del negozio. Per ciò supplica V. E. di ordinare che si osservi il solito e che li detti mercanti per li con saputi drappi che devono portare in dette fiere non siano molestati da detti Consoli o altri, a fine di evitarsi le rovine di dette città e di tanti loro mercanti per detti pagamenti, mentre giovedì venturo cinque del corrente devono partire per dette fiere e l’osservanza di ciò commettersi alle Regie udienze di Montefuscoli e Trani in solidum che così osservino e facciano osservare ut Deus.
 
Di Admin (del 21/01/2011 @ 12:17:43, in articoli, linkato 571 volte)
Nell'ambito dell'attuale dibattito culturale, divenuto particolarmente acuto quest'anno in occasione delle celebrazioni del centocinquantesimo anniversario dell'unità d'Italia, non è fuor di luogo auspicare l'avvento di un clima più disteso e sereno, onde non rischiare di perdere definitivamente la nostra identità nazionale, già fortemente compromessa dalle frequenti manifestazioni avvilenti, scritte a diversi livelli con l'inchiostro del degrado assoluto. Se perdurasse siffatta temperie, ne perderemmo tutti indistintamente. E' l'ora, quindi, di attivare un confronto a vasto spettro che, gettando alle ortiche le vuote e sterili formule pronunciate da comode posizioni precostituite, agevoli un confronto su dati concreti e legati alla reale esperienza dei nostri padri. All'uopo può segnare un piccolo sentiero il tentativo di recuperare e riproporre la vera identità della nostra realtà locale, cittadina e provinciale, sulla scorta di diverse testimonianze sociali. Siffatto progetto operativo ha il merito, se non altro, di riappropriarci del nostro effettivo passato, toponomastico ed umano, colto nel suo fluire. Animati dal desiderio di conoscere le varie attività produttive lì allocate, ci addentriamo nella sezione napoletana Mercato, nell'anno 1858. Ne percorriamo l'intero perimetro, in tutta la sua vastità, annotandone le diverse strade, elencate di seguito: Fiumicello,ove operano un lanificio e una fabbrica di corde armoniche; Taverna delle Carcioffe, sulla quale c'è una fabbrica di puntine di Parigi o piccoli chiavistelli e di zappe; Largo Sant'Erasmo, contrassegnato dalla presenza di una fabbrica di pelli per suole; Congeria, lungo il cui percorso si stendono una fabbrica di cuoio ed un'altra di coperte di cotone; Largo Granile, donde si effonde per l'aria l'eco proveniente dalle macchine di una seteria, di una fonderia di ferro, di un'altra di piombo e di una fabbrica di pelli; Discesa del ponte, ove si segnala una congeria di pelli; Arenaccia,su cui si protende una fonderia di ferro; Vico sopramuro del Carmine, impreziosito dalla raffineria di oro e di argento; Vico Vitriera vecchia, vivacizzata dalla fonderia per la scopiglia o ceneraccio; Madonna delle Grazie di Loreto, ove spicca lo stabilimento per la pressione della rublia o robbia; Vico Maria delle Grazie Sovramuro, allietata dalla fonderia per la scopiglia; Piazza Fossi Nolana, sulla cui distesa si protendono due fabbriche per la lavorazione del gesso; San Cosimo che accoglie una fabbrica di gesso; Fossi, ove procedono a pieni motori due fabbriche di sapone; Carrera,Ferze al Lavinajo, Vico Celso a Loreto,Vico Orticello a Loreto, accomunate dalla presenza della rispettiva fabbrica di sapone; Calata ponte della Maddalena, ornata dai ritmi sistematici del lanifico; Largo di Sant'Erasmo, il cui perimetro abbraccia una fabbrica di sapone; Marinella, il cui diffuso stridio proviene da due fabbriche di stoviglie e da una di mattoni; Annunziata,ravvivata dall'andirivieni delle persone nelle due fabbriche di sedie che hanno l'esclusiva per tutta la provincia; San Pietro ad Aram, sede ufficiale di una fabbrica di coperte di cotone e di un lanifico, gestito dai padri Riformati. Tra gli imprenditori operanti in questa sezione si distinguono gli stranieri, il che denota l'indole del napoletano pronto all'accoglienza e alla tolleranza.
 
Di Admin (del 22/01/2011 @ 15:24:57, in Articoli, linkato 13814 volte)
Proseguendo il viaggio nella capitale del regno delle due Sicilie, al fine di rinvenire l'ossatura produttiva della città,secondo le direttive ministeriali,ci spostiamo, sulla relativa scorta documentaria del 1858, nella sezione Vicaria, soffermandoci nelle singole strade e riproponendo di seguito in maniera fedele le risultanze dell'analisi effettuata colà sulla suddetta materia, ritrascritta per generi lavorati. Così troviamo due fonderie di oro e argento in Vico di Pontenero, un'altra di ferro in via Vasto a Capuana e quella più importante di canne da fucile, di proprietà pubblica e ubicata nella strada Poggioreale. Ben tredici fabbriche adornano vico tutti i Santi, vico Speranzella e vico Reclusorio. Due fabbriche di cerogine o candele si stendono nella strada Poggioreale e, precisamente, all'Arenaccia. Una fabbrica di sapone si staglia in vico Sant'Anna, una fabbrica di aceti si protende in largo Cavalcatojo, specificamente ai Fossi. Cinque fabbriche di fiammiferi caratterizzano via Vasto, Fossi Vasto, ponte di Casanova e largo Cavalcatojo. Due fabbriche di mistura di lastrici operano in strada nuova dei Fossi e, nello specifico, al vico Trufolo. Una fabbrica di tele "incerate" procede a pieno ritmo in vico di tutti i Santi. Tre congerie di pelli echeggiano nella strada Arenaccia alla Polveriera e al Largo Cavalcatojo. Una vetreria rimbomba nel vico Trufolo. Quattro lanifici connotano il vico Cetrangolo e il vico lungo Sant'Antonio Abate. Tre tintorie si trovano nella strada Trivio, nel vico San Giovanniello e in quello di Marcoviglio. Nel perimetro sezionale si concentra anche un alto numero di botteghe. Infatti, trentuno officine di fabbri si stendono lungo il largo Carriera grande, piazza Tribunali, strada Carbonari, vico Sotto a Carbonara, strada San Ferdinando a Pontenuovo, borgo Sant'Antonio Abate, largo Cavalcatojo, largo Vasto, strada numerata e piazza Nuova Foria. Una bottega di calderai o ramai è operativa nel vico Ziti. Sei botteghe di miniscalchi o maniscalchi, site nella strada Foria, nella piazza Nuova Foria, nella piazza Tribunali, al largo Cavalcatojo, al largo Sant'Anna, al ponte di Casanova, portano in loco una notevole vivacità di uomini e di animali. Scandiscono suoni alternati i colpi degli operai impegnati nelle sette botteghe addette alla riparazione delle carrozze e gravitanti nel largo Carriera grande, in piazza Tribunali, nelle strade Carbonara e Santa Sofia.Il vico Vasto a Capuana e la stessa strada Capuana effondono in un vasto raggio l'acre odore proveniente dalle tre botteghe di baccalà e di stoccafisso qui ubicate. Questa sezione municipale accoglie infine undici stalle per capri, allocate nelle seguenti arterie viarie: strada Foria, vico Lungo Sant'Antonio Abate, vico Trufolo, vico San Nicola dei Caserti, vico Verdi ai Caserti, cortile Sant'Antonio Abate, vico Zingari e vico San Biagio dei Caserti. Costituisce un capitolo a se stante lo stabilimento industriale, specializzato nella lavorazione della pelle di castoro e di altri tessuti, destinati, prevalentemente, agli uomini della truppa reale.
 
Di Admin (del 23/01/2011 @ 08:24:33, in articoli, linkato 613 volte)
La terza tappa del viaggio, che si snoda, secondo il programma prestabilito dalle autorità ministeriali del 1858, nelle sezioni comunali della capitale, onde preparare il materiale indispensabile alla commissione di statistica, offre ai nostri occhi la sezione Stella. Essa risulta, fin dall'iniziale colpo d'occhio, rispetto alle precedenti già visitate, come la meno dotata di attrezzature imprenditoriali dal punto di vista quantitato, anche se nessuno mette in dubbio il loro tasso qualitativo. Infatti, nella strada Nuova Capodimonte si concentrano quattro fabbriche: la prima mira a produrre macchine per tornire il ferro; la seconda macchine a vapore, tubi, caldaie e torchi per stamperie; la terza macchine a vapore per la produzione dell'allume e dell'acido solforico; la quarta risulta una vera e propria filanda. Tutti e quattro i suddetti opifici devono la loro normale attività al capitale degli imprenditori stranieri. Sulla stessa falsariga si proietta la sezione San Ferdinando, anche se la dislocazione imprenditoriale si rivela leggermente più varia. Apre la serie la fabbrica di finimenti per cavalli da carrozza, internata nelle grotte del marchese di Sessa dentro cappella vecchia a Chiaia. Un'altra di stampo meccanico è relegata in fondo nel vico Colascione al Monte di Dio. Nella strada nuova a Pizzofalcone si stende una fabbrica deputata alla costruzione di apparecchi per la illuminazione a gas. Chiudono l'elenco alcune fabbriche di mobili e di pianoforti, nonché alcune stamperie. Tutti questi stabilimenti, a detta dell'esperto che ci guida, nonché estensore del verbale, secondo una scala valoriale ufficiale, vanno classificati nel novero di quelli mediani. Il tono viene ampliato notevolmente dalla presenza massiccia della stamperia reale, della fonderia dei cannoni e dell'arsenale dell'artiglieria, che adornano Castelnuovo. Va da sé che questi ultimi rientrano nella sfera militare statale.
 
Di Admin (del 25/01/2011 @ 12:41:08, in Articoli, linkato 601 volte)
L'acqua affluisce a Napoli attraverso due canali, uno più antico chiamato Olla, Volla o Bolla e il secondo, finito di costruire nel 1634 circa, denominato Carmignano. Le sorgenti pubbliche, invece, sono cinque: Santa Maria la Nuova o Acquaquilia, San Pietro Martire, Leone, Marinella e Santa Barbara. Nello spazio compreso tra Pomigliano d'Arco e Somma le acque zampillano in alcune grotte che danno origine a quattro condotti o bracci: Preziosa, Tavernanova, Benincasa e Calzettaio che portano l'acqua nella casa costruita poco distante dal Salice. A questo punto una parte minima si riversa nell'alveo Criminale, anima vari mulini privati e forma l'attuale Sebeto. La maggior parte, invece, accresciuta dall'afflusso idrico del quarto braccio, detto Nuovo o Sottocorrente e sito a venti passi dalla suddetta Casa, scorre nelle cavità sotterranee in maniera quasi parallela alla strada di Puglia. Il distacco avviene poco dopo, allorché, seguendo un proprio tragitto indipendente, raggiunge il luogo chiamato Pepe, ove raccoglie le acque defluenti lungo il canale. Quindi, va ad alimentare nel palazzo della Regina Giovanna una ferriera, i mulini di Apicella e di San Teodoro, e due fontane di Poggioreale. Prima di Porta Capuana perde un ramo idrico detto San Giovanni a Carbonara che prosegue la sua corsa attraverso l'Orticello in direzione della Porta di San Gennaro. In itinere altre diramazioni se ne distaccano per tracciare un loro tratto autonomo su entrambi i lati. Poco prima di toccare la meta finale, un altro ramo idrico accompagna il solco della strada Maddalena fino all'angolo dell'Annunziata. Alla fine, la corsa confluisce in città, precisamente, nella località denominata la Formella prima di Castel Capuano .......
 
Di Admin (del 30/01/2011 @ 19:58:26, in Articoli, linkato 562 volte)
L'incontro tra gli Intendenti delle province del regno, tenutosi a Napoli nel mese di maggio del 1846, rappresenta una vera e propria analisi programmatica, nel cui ambito rientrano le opere già eseguite e quelle in cantiere. Apre i lavori l'Intendente di Napoli, Spinelli, con una radiografia circostanziata sulla città di Napoli. L'abbrivo dialogico è quanto mai felice con l'annuncio della conclusione quasi definitiva della ricostruzione e dell'ampliamento della strada di Santa Lucia, il cui maggior dispendio di risorse economiche rispetto a quelle preventivate trova la sua ragion d'essere nell'attuale piacevolezza dell'asse viario. Trovandosi in una condizione carente, dovuta, soprattutto, alle violente bordate delle onde prospicienti, Mergellina reclama un analogo trattamento di messa in sicurezza e di abbellimento. Il tratto che si estende dalla Torretta fino alle rampe di Sant'Antonio si avvia alla felice conclusione. Godono i benefici della ricostruzione le vie Sant'Anna dei Lombardi, Trinità Maggiore e Salita di Montoliveto. Lascia a desiderare la costruzione del mercato di Tarsia, tanto da deludere le attese della vigilia anche in termini di massiccio investimento di denaro. Pur essendo stato eretto in un luogo non paludoso, non lontanto da quello di Montoliveto, viene occupato solo in parte. Non si discutono la bellezza e l'utilità dell'edificio che potrà essere adibito in seguito anche per altri usi. Del resto il mercato di Forcella, gli altri due, rispettivamente, ubicati al vicolo Beifiori e nei pressi dell'ospedale del Sacramento, rispondono in pieno alle loro funzioni mercantili. Si spera che possa seguirne la scia quello che dovrà sorgere, secondo il progetto, nel largo Duchesca a Porta Capuana. Via Foria, che si distingue per la sua ampiezza e per la densità della popolazione, costituisce lo snodo entro cui confluiscono le altre arterie circonvicine. Colà si ammira la chiesa di San Carlo all'Arena, finalmente ricondotta all'antico splendore e devozione, destinati a crescere di molto, non appena sarà aperto il tratto viario di collegamento con San Giovanni a Carbonara. La città riceve ulteriore bellezza dalle numerose strade campestri dell'Arenaccia e dei Fossi, che fanno capo a vari quartieri. Va ascritto nel novero dei monumenti il cimitero, la cui grande chiesa, l'ampio parallelogramma destinato a centodue congregazioni, il pio convento, le decorose sepolture, le policromatiche aiuole e le incantevoli vedute concorrono a rinsaldare in concreto il vincolo inestricabile tra i vivi e i morti. Nel merito la provincia napoletana sta compiendo notevoli passi: sono già stati benedetti i cimiteri di Forio d'Ischia, Massa, Trocchia, Pollena e San Sebastiano; sono sulla dirittura di arrivo quelli di Gragnano, Boscotrecase, Pianura, Sant'Antimo e San Giovanni a Teduccio.
 
Di Admin (del 08/02/2011 @ 22:05:13, in articoli, linkato 742 volte)
Nella seconda parte dell'Ottocento la pesca del corallo, eseguita lungo le coste dell'Algeria, in cui gli abitanti di Torre del Greco recitano il ruolo di protagonisti, attraversa un periodo di profonda crisi la quale, per la verità, viene da lontano. Non a caso, sfogliando i registri, relativi alla quantificazione delle imbarcazioni torresi impegnate in siffatta attività dal 1837, notiamo come il loro numero iniziale di 230 si è abbassato nel corso del tempo con una leggera ripresa nel 1852, allorché si attesta sulle 221 unità. Nel 1853, addirittura, il trend negativo procede rovinosamente a picco verso le 116 imbarcazioni su un totale di 125, di cui due appartengono a Livorno, due a Trapani e una a Portici. L'occasione è utile per dare uno sguardo d'insieme al fenomeno, al fine di comprenderne le motivazioni profonde dell'attuale stallo. A prima vista colpisce la varietà dei nomi dati alle paranzelle, attinti quasi sempre dal calendario religioso, nelle cui pieghe si intuisce facilmente la ricerca della protezione celeste. Reputiamo di fare cosa gradita riproponendo, a mero titolo esemplificativo, la denominazione di alcune con la specifica dei proprietari: Santa Maria di Portosalvo di Gennaro Magliulo, Santa Maria Maddalena di Angelo Antonio Magliulo, Santa Vittoria di Michele Serpe, San Leonardo di Gennaro Palomba, San Benedetto di Mattia Mattera, Madonna del Carmine di Giovanni Battista Sasso, Sant'Anna di Francesco Ruggiero, Maria dell’Arco di Santo della Monica, San Luigi di Nunzio Sportiello, Santo Spirito di Gennaro Iuliano, Maria di Montevergine di Gennaro Borriello e San Francesco di Paola di Sebastiano d’Urso. Spezza l'uniformità "La Bionda" di Francesco Accardo. Rientra, invece, nel contesto generale quella del porticese Raffaele di Donna, denominata Madonna del Principio. Addirittura tra quelle trapanesi troviamo due con lo stesso nome di Gesù Maria Giuseppe: la prima appartiene a Giuseppe Portuese, la seconda a Giuseppe di Cocco. Utilizzando il criterio del maggiore equipaggio, occupa il primo posto San Giuseppe di Pietro Sogliuzzo con diciannove marinai,seguita da Maria di Montevergine di Gennaro Borriello e Immacolata di Raffaele Aurilio, entrambe con quindici. Seriamente preoccupato della situazione critica del settore, le cui conseguenze negative si ripercuotono sull'intera economia torrese, il sindaco pro tempore rispolvera un antico antidoto, mirato a coinvolgere negli utili societari i marinai, come avviene tuttora nella marina mercantile. La proposta, sottoposta alla Camera Consultiva del Commercio il 19 febbraio 1853, viene bocciata, in quanto foriera di danni maggiori. La risoluzione si gioca su una duplice alternativa operativa: la prima mira ad elaborare un regolamento che costringa i marinai disertori a prestare sevizio sulle navi da guerra, finché non ripaghino di tasca propria le eventuali perdite economiche prodotte agli armatori; la seconda contempla la istituzione a Torre del Greco di un monte di categoria, sollecito a venire incontro a tutte le esigenze degli associati, compresa la pensione a favore degli anziani e degli invalidi. Nemmeno queste agevolazioni riescono a ridare vitalità al settore che fa naufragare anche l'offerta di un coevo piano algerino di rilancio generale.
 
Di Admin (del 12/02/2011 @ 21:46:03, in articoli, linkato 577 volte)
La pesca del corallo, esperita dagli abitanti di Torre del Greco in terre lontane, affonda le sue radici nella notte dei tempi. Una significativa traccia documentale di tale attività risale alla metà del 1400, allorché i torresi la spuntano favorevolmente in tribunale, in seguito a sentenza del Reggente della Real Cancelleria, contro il loro feudatario Antonio Carafa il quale ha imposto de imperio una tassa arbitraria, la cosiddetta gabella sul pescato, a tutti i proprietari delle imbarcazioni da pesca. Sulle ali della vittoria si rinvigorisce sempre più il campo di azione dei pescatori, circoscritto, al momento, al mare della Corsica e della Sardegna. L'orizzonte si amplia nel 1780, allorché il desiderio di accrescere il guadagno, sorretto da una tempra insolita nell'affrontare la durezza delle fatiche, invera l'obiettivo di effondersi nelle acque del Mediterraneo al largo delle coste africane, in barba ai numerosi pericoli, non escluso quello del'assalto predatorio da parte dei corsari barbareschi. La marcia espansiva, per quanto audace e rischiosa, risulta graduale e ponderata: dall'approdo iniziale a Galita, isola disabitata e deserta, avente un perimetro di nove miglia e distante quaranta miglia da Tunisi, lo sconfinamento aumenta sempre più fino a quarantatré miglia da Algeri. Nei due anni successivi avviene il superamento di Capo Negro, Capo Rosa e Capo di Bona. Ben presto la base di Galita viene dotata dell'assistenza religiosa e fisica grazie alla presenza di un prete e di un medico. Sovrintendono a tutelare la incolumità di tutti gli operatori la vigilanza di Gennaro Avardo e di suo figlio Giuseppe, corsari di professione con truppe armate, il tutto a completo carico dei numerosi "corallari" che arrivano a portare in loco ben quattrocento imbarcazioni. Le mutate condizioni richiedono una organizzazione più puntuale. La prammatica del 14 aprile 1790 istituisce un consolato con propria giurisdizione, un nuovo ordinamento degli armatori, capisquadra e marinai, nonché un nuovo monte. Con la successiva prammatica dell'8 ottobre vede la luce una compagnia di settore,deputata ad espletare una serie di compiti: fornire ai padroni e caposquadre delle feluche coralline una serie il denaro occorrente per armarle ed equipaggiarle con un interesse determinato secondo i diversi luoghi di destinazione per la pesca e le stagioni dell’anno; dare loro spago, funi, pane o biscotti al prezzo di costo; pagare tutte le spese occorse durante il viaggio e la pesca; aprire una fabbrica a Torre del Greco per lavorare spago e funi per l’attrezzatura delle feluche; impiantare a Napoli e a Torre la fabbrica del corallo. In compenso la Compagnia ha il diritto privilegiato di comprare e vendere il corallo al prezzo fissato da dieci esperti, cinque nominati dalla Compagnia e altrettanti dai capisquadra. Ma tutto questo impianto va ben presto in crisi e gli ultimi barlumi della sua pessima amministrazione si avvertono nelle fiamme prodotte dai relativi registri, andati in fumo durante la terribile eruzione del Vesuvio del 1794.
 
Di Admin (del 15/02/2011 @ 20:54:49, in articoli , linkato 619 volte)
A metà Ottocento le case circondariali a Napoli sono Castel Capuano, San Francesco, Santa Maria ad Agnone, Concordia, Santa Maria Apparente, Istituto artistico. Nel carcere di Castel Capuano vanno custoditi quanti sono in attesa di giudizio oppure di passaggio. Qui l'assegnazione alle singole sezioni avviene in base alla condizione e alla imputazione degli inquilini. Infatti, la prima sezione è riservata ai poveri, la seconda agli agiati, la terza esclusiva agli imputati di gravi pene, la quarta ai cosiddetti camorristi, la quinta ai detenuti di passaggio e l’ultima ai testimoni. In questo carcere i detenuti non sono soggetti all'occupazione lavorativa obbligatoria, giacché la permanenza è temporanea. Vi prevale, quindi la prestazione volontaria nei mestieri più conformi alle attitudini dei singoli. Lo stabilimento di San Francesco si divide in tre sezioni: la prima è destinata alla cura dei detenuti infermi di tutte le prigioni della capitale; la seconda, chiamata casa di correzione per i giovinetti; la terza rappresenta l’opificio di Napoli. Nelle sue pareti una sala è adibita ad ospedale; un'altra riservata ai morenti; un'altra a quelli afflitti da mali contagiosi. In Santa Maria ad Agnone sono rinchiuse le donne già condannate e quelle in attesa di giudizio. Provvedono all'organizzazione generale generale delle ospiti le suore della carità. Sembra un conservatorio di donne pentite piuttosto che un carcere. Le detenute sono occupate nel lavoro e seguite con molta cura dalla congregazione delle più distinte donne della capitale. La Concordia si divide in due grandi sezioni: nell’una sono ristretti i debitori, nella seconda i detenuti ecclesiastici. In Santa Maria Apparente permangono coloro che sono oggetto di osservazione da parte della polizia. Sebbene sia collocato nella parte alta di Napoli, presenta alcune disfunzioni, prontamente corrette. Non a caso, motivi igienici hanno imposto la chiusura di un pozzo o fosso, dalle cui acque stagnanti si propagavno miasmi maleodoranti. La cucina ha subito un ampliamento spaziale, quella riservata ai poveri un abbellimento di immagine. L'Istituto artistico, fondato nel nel 1856, accoglie i giovani che hanno espiato la pena legata alla mendicità, al vagabondaggio o al furto. Il recupero verte sull'apprendimento di mestieri, di cui i più comuni sono il sarto, il calzolaio, il tipografo, il litografo, il tessitore, il falegname e il legatore di libri. A margine di ciò vengono impartiti l'insegnamento finalizzato a leggere, scrivere, far di conto e acquisire competenze elemntari nel disegno. Gli alunni ricevono nelle prime ore del mattino una colazione, al mezzogiorno una zuppa con carne il lunedì, martedì, giovedì e domenica, negli altri giorni, oltre la zuppa, una seconda vivanda. La sera ritorna la colazione. Escono nei giorni di festa vestiti con uniforme composta di giacca e pantalone di panno bleu d’inverno, mentre in estate con giacca di panno e pantalone bianco di cotone. La direzione è composta da un consiglio di amministrazione. Un corrispondente numero di prefetti scelti tra gli ufficiali di base del real corpo dei veterani vigila di giorno le sale di lavoro e, durante la notte, i dormitori.
 
Di Admin (del 15/02/2011 @ 21:02:37, in articoli, linkato 630 volte)
Casoria concorre a scrivere la storia del 1799 fin dal mese di gennaio: infatti, nei giorni diciassette e venti, Sabato Javarone, Carmine Grazioso, Antonio de Luca tentano di sollevare il popolo casoriano contro il regime repubblicano testé insediato. Il 28 febbraio lo scenario amplia la presenza umana con l’aggiunta di Giovanni Esposito e Mauro Grazioso i quali, sotto il pretesto del prossimo avvento del cardinale Ruffo, incitano, con spari e minacce, la popolazione casoriana a strapparsi di dosso la coccarda tricolore e a passare alla controrivoluzione. Tutti i sobillatori, arrestati, subiscono il processo per direttissima con la arringhe del commissario di governo e del difensore, l’8 aprile 1799, allorché sono condannati alla seguenti pene: Sabato Javarone a cinque anni di carcere, Carmine Grazioso alla pena di morte, Antonio de Luca all’ergastolo, Giovanni Esposito all’ergastolo, Mauro Grazioso a venticinque anni di carcere. Il testo di questa sentenza, letto ai condannati, viene affisso negli spazi consentiti di Casoria a cura di Gregorio Ferrara, prosegretario dell’alta commissione militare, composta dalle seguenti persone: Giorgio Pagliacelli (presidente), Onofrio Decolaci, Giovanni Battista Manthoné, Raffaele Manzi, Gaetano Teroni, Filippo Wirtz e Giuseppe Celentano (segretario). In tale lista compare anche il casoriano Sabato Silvestro, condannato a dieci anni di carcere per l’accusa di detenzione di baionetta, con cui ha ferito alla testa il compaesano Mauro Tuccillo. Analoga pena viene irrogata ad un altro casoriano Nicola Soviero, accusato di detenzione di varie armi. Dopo pochi mesi, il 4 giugno 1799, avviene lo scontro frontale tra repubblicani e realisti: muoiono Giuseppe Marino, Carmine Mastronzo, Sabato Pagano, Antonio Russo, Domenico Russo, Silvestro Russo, Giovanni Palmentiero, viene bruciato in un pagliaio Luigi di Caro. Di costoro due sono insorgenti, cioè Antonio Cortese e Luigi di Caro, i restanti con gli insorgenti di Afragola, e tutti gli altri predetti, uccisi innocentemente per le strade e per le campagne, sono stati sepolti nella chiesa di San Mauro. In tutt'altro contesto il casoriano Simone di Simone, laico professo carmelitano, vive sulla propria pelle, in maniera drammatica, le terribili vicende della repubblica napoletana nei suoi risvolti più acuti e delicati. Tutto comincia nel monastero carmelitano di Rocca d’Aspide, ove affluiscono seicento uomini armati locali, decisi a fronteggiare, sotto l’assistenza del frate, l’eventuale assalto dei francesi. L’avvento degli assalitori, divenuto dirompente e fragoroso anche in virtù dello sparo dei cannoni, semina il panico nei cuori della parte avversa, la quale scappa a gambe levate. Il frate, rimasto da solo nel convento, diventa il bersaglio centrale dell’ira francese: è spogliato di tutto, lasciato con una vecchia tonaca addosso, legato con altri quaranta prigionieri, quindi condotto per vari paesi limitrofi, tra cui Nocera di Pagani. Qui avviene l’incontro con il generale Pignatelli Serragli il quale, dopo un processo sommario e sbrigativo, decreta la fucilazione per tutti gli arrestati. L’infelice padre Simone, sfuggito alla sentenza di morte per miracolo della Vergine, viene trascinato a Napoli, ove prova i rigori carcerari della Gran Corte della Vicaria, di Santa Maria a Parete e di Castello dell’Ovo, ove il vitto si limita al pane e all’acqua. La liberazione avviene undici giorni dopo che le truppe del cardinale Ruffo entrano in Napoli e determinano la fine dell'esperienza repubblicana. A fronte di queste peripezie, che lo hanno segnato, in profondità, nel fisico e nell’animo, il frate, costretto dai suoi superiori a peregrinare da un convento montano ad un altro, vede sempre più naufragare la immediata speranza di una dimora definitiva più vicina alla sua terra d’origine, come il Monastero del Carmelo Maggiore di Napoli o quello di Caserta. A questo punto, a distanza di un anno e mezzo dell’ultima tappa della sua via crucis, il 20 dicembre 1800, dalle pareti del monastero di Santa Maria del Carmine di Buccino, egli, avvertendo ancora i brividi in tutta la loro immediatezza, affida le sue ultime speranze al Delegato della Real Giurisdizione attraverso la penna del notaio Giuseppe Maria Merlini.
 
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